Si pensa spesso che l’arte sia frutto di puro esibizionismo o di studio ad hoc su ciò che potrebbe attirare l’attenzione del pubblico.
Si crede, dunque, il più delle volte, che l’arte sia una maschera che l’artista indossa per dividere il palcoscenico dalla realtà di chi osserva.
Così lontano pare essere il mondo dell’artista messo su un piedistallo dove tutto può.
Eppure, a volte, la vita privata è talmente pregna di tutto che fuoriesce dalla carreggiata a lei riservata e, come un’onda silenziosa, invade, contaminandola, la corsia riservata all’arte.
Succede così con un artista che ha prodotto in pochissimi anni un insieme di opere che descrivono la vita, la sua, senza mezzi termini, in modo discreto ma decisamente d’impatto.
Lui è Felix Gonzalez-Torres, nato a Porto Rico, si trasferisce poi a New York, dove ha un buon successo come artista minimalista.
Le tematiche da lui affrontate sono nuove, scandalose ancora per gli anni ’90 della puritana e borghese America, come l’omosessualità, l’AIDS e la solitudine degli emarginati.
Nuovo è anche il suo modo di comunicare queste tematiche, perché usa un linguaggio semplice ma decisamente coraggioso in quanto mette in mostra i suoi reali sentimenti e le sue vicende autobiografiche, soffermandosi sull’amore e il dolore. Proprio per questa sua capacità di trasferire nelle sue opere solo ed esclusivamente se stesso, si distingue dagli altri colleghi minimalisti: non vi è più distacco tra pubblico e privato.
Per poter affrontare la sua sofferenza, per poter raccontare al mondo il suo amore utilizza oggetti e immagini comuni, quali carta, caramelle, fili di lampadine, a testimonianza che se qualcuno ha davvero qualcosa da raccontare, poche cose servono per esprimerlo.
E così, nelle gallerie, iniziano a comparire fogli stampati o caramelle ammassate all’angolo di un muro e il pubblico è chiamato ad interagire con l’opera potendo toccare gli oggetti e addirittura portarli via.
Ecco che l’arte si fa vita! Si consuma l’arte come si consuma la vita, che, fragile, tende inevitabilmente alla fine.
Per Felix la sua unica e profonda fonte di ispirazione è il compagno Ross morto di AIDS nel 1991 in un’epoca in cui parlare di questa malattia era un vero e proprio tabù.
Le caramelle ammassate sul muro di Untitled (Portrait of Ross in L.A.) non vengono messe a caso da Felix: il peso totale è lo stesso del suo compagno al momento della morte (80kg) e l’azione di raccogliere le caramelle per mangiarle è la raffigurazione del deperimento subito dal corpo del suo amatissimo compagno durante la malattia. Questo è il vero e proprio coinvolgimento emozionale tra la vita privata ed i sentimenti più profondi di Torres con il pubblico.
Volevo creare un’arte che potesse scomparire, che non fosse mai esistita, una metafora per quando Ross stava morendo…Avrei abbandonato il lavoro prima che il lavoro abbandonasse me. […] Non volevo che durasse, perché così non mi avrebbe fatto soffrire.
[Intervista con Robert Storr per ArtPress nel gennaio 1995]
Le opere di Felix sono espressione di assenza e vuoto provocati dall’amore ma anche di speranza e desiderio di continuità della vita. Questa assenza che lui avverte, dopo la morte del compagno, e la solitudine che ne deriva, non sono date dal numero uno, ossia dal ritrovarsi solo, ma dalla mancanza del numero due.
Questo profondo concetto di assenza lo ritroviamo in due opere specifiche di Torres: Untitled (perfect lovers), 1991 – due orologi sincronizzati perfettamente e fermi nell’attimo dell’addio, del distacco terreno, dell’inizio della solitudine come assenza dell’altro e Untitled, un manifesto che ritrae l’immagine di un letto bianco, sfatto, il letto reale di Felix e Ross, ma vuoto sul quale sono però visibili le tracce dei corpi delle due persone che vi hanno dormito. Per rendere quest’opera, oggi diremmo virale, Felix affitta ben ventiquattro cartelloni pubblicitari in tutta New York, esponendo la sua intimità alla città.
Questa condivisione del dolore, questo voler urlare al mondo la propria sofferenza rendeva Felix un artista empatico ed emozionante.
Tutto ciò che lui realizza mette a nudo la totale e ineluttabile caducità umana; anche la serie di fili di lampadine bianche a basso voltaggio hanno lo stesso destino della vita umana: sono destinate a consumarsi, senza che nessuno possa prevedere quando. Le lampadine acquisiscono così un carattere transitorio, in quanto strumento fragile e temporaneo, ma solo nella loro materialità, come nell’amore: perdiamo materialmente qualcuno ma i momenti felici trascorsi con quella persona e il loro ricordo rimangono intatti e diventano appigli saldi cui aggrapparsi per non cadere nel baratro.
Quello di Felix è, dunque, il vero amore raccontato con coraggio; attraverso la condivisione della sua intimità con il pubblico, l’artista ha permesso l’attuarsi di un dialogo vivo, reale, senza filtri sulla paura che l’amore provoca, perché come disse in un’intervista:
L’amore ti dà una ragione di vita, ma è anche un motivo di panico, si ha sempre paura di perdere quell’amore.
…e in effetti se ci pensiamo, se c’è una cosa di cui dobbiamo avere paura più di altro è dell’amore quando comincia, perché tutto ciò che ha un inizio prima o poi avrà anche una fine.