Primordial Future
“Tutta l'arte del passato si erge davanti a me, l'arte di tutte le epoche e di tutte le civiltà, tutto diventa simultaneo, come se lo spazio avesse sostituito il tempo. I ricordi delle opere d'arte si fondono con i ricordi affettivi, con il mio lavoro, con tutta la mia vita.” Alberto Giacometti
Può essere il futuro un’eco che risuona dalle origini?
Primordiale. Una parola che richiama sorgenti profonde, terre antiche, silenzi sospesi tra memoria e nascita. È ciò da cui tutto ha avuto inizio, l’energia originaria che vibra sotto la superficie di ogni cosa, invisibile ma potente, e che continua a modellare il presente.
In questa tensione verso l’origine, l’essere umano ha sempre cercato un linguaggio per dare forma all’invisibile. È da questo desiderio di contatto con ciò che lo trascende che nascono i primi segni tracciati sulla pietra: impronte, figure, simboli che ancora oggi risuonano come echi di una memoria universale. Le pitture rupestri rappresentano una delle prime manifestazioni artistiche dell’umanità. Le più antiche, datate a oltre 40.000 anni fa, si trovano in grotte sparse in tutto il mondo. Non semplici decorazioni, ma gesti carichi di intenzione: riti propiziatori, narrazioni collettive e, secondo interpretazioni più recenti, autentiche pratiche spirituali attraverso cui l’uomo instaurava un legame con l’invisibile e con le forze vitali della natura.
Ciò che colpisce, a distanza di millenni, è la loro potenza originaria. Tratti essenziali eppure universali, che racchiudevano già il desiderio di lasciare una traccia, di dare forma al mistero, di trasformare l’esperienza in immagine. Le pitture rupestri si configurano così come un atto fondativo non solo dell’arte, ma della coscienza stessa. Il momento in cui l’essere umano ha cominciato a dialogare con il tempo, tentando di fissarne l’eco e proiettarla nel futuro.
È in questo solco arcaico che si inserisce il lavoro di Maria Boström. Le sue opere ci conducono in un viaggio che ha il sapore del mito e la densità della memoria, intrecciando in un solo gesto il passato e il tempo a venire, in una vibrazione continua tra l’origine e ciò che ancora deve nascere.
Dalle sue tele è possibile percepire due forze complementari: da un lato, il richiamo a un linguaggio arcaico, terragno, fatto di pigmenti che sembrano provenire proprio dalle pitture rupestri delle grotte preistoriche; dall’altro, un’apertura verso una materia indefinita, fatta di campiture di colore che si accendono e vibrano come riflessi di un futuro ancora in costruzione. È in questo dialogo che si colloca l’essenza di Primordial Future, un ciclo infinito in cui il passato non scompare, ma si rinnova, diventando il respiro stesso del presente e la matrice del futuro.
L’opera di Maria Boström non si limita a essere contemplata: essa respira. Le tele, segnate da stratificazioni dense, graffi e spatolate, cambiano al mutare della luce, risvegliandosi e addormentandosi come creature vive. La loro materia pittorica pulsa, si offre e si ritrae, costringendo l’osservatore a un rapporto di intimità e di ascolto. È un linguaggio che non si esaurisce nella definizione di “astratto”, ciò che emerge è piuttosto un flusso di coscienza visivo, una dimensione emozionale pura, che alterna delicatezza e forza, silenzio e urgenza.
Accanto alle venti opere pittoriche originali, la mostra raccoglie l’intero spettro del processo creativo di Maria Boström, ampliandolo in nuove forme di sperimentazione.
I tappeti realizzati in collaborazione con Moooi Carpets, trasformano il gesto pittorico in tessuto, verso una dimensione tattile e quasi domestica, in cui l’opera diventa paesaggio da abitare. Le stampe su plexiglass, parte del progetto Actam Rem Ago, traducono in composizioni fotografiche frammenti dei dipinti originari, moltiplicando la materia in superfici traslucide che sembrano galleggiare nello spazio di un tempo indefinito.
I foulard non sono altro che un ulteriore livello di dialogo in cui l’opera diventa corpo e si muove con chi la indossa. Infine, i gioielli, piccole concrezioni di energia e forma, condensano la ricerca dell’artista in simboli da custodire, frammenti tangibili di un universo spirituale più vasto.
Il filo che lega questi linguaggi differenti è la stessa energia primordiale che guida la mano di Maria Boström. La sua pratica artistica nasce infatti in un contesto di ritiro e immersione nella natura, lontano dal quotidiano. È lì che l’artista ascolta, riceve, trasforma. La sua è una dichiarazione di fede nell’arte come processo di rigenerazione. È il riconoscimento che la memoria ancestrale non è un peso, ma una forza propulsiva, un archivio vivo che si rinnova nell’atto creativo. Ed è, soprattutto, un atto d’amore come energia cosmica, principio che muove ogni cosa, vibrazione che lega passato e futuro in un unico respiro.
Primordial Future narra di un processo in divenire, dove le forme si definiscono e si dissolvono, oscillano tra presenza e assenza, come se la verità dell’opera fosse nel suo continuo sfuggire. In questo movimento, lo spettatore è chiamato a un ruolo attivo: a percepire con il corpo, a lasciarsi attraversare, a cogliere le vibrazioni che l’opera emana. L’arte diventa così esperienza di consapevolezza, esercizio spirituale che ci ricorda come il futuro non sia una proiezione distante, ma un ritorno costante alle nostre radici.
A cura di
Francesca Brunello