IL CAVALIERE NERO
Visioni e riflessioni del mondo interiore
Nota introduttiva alla mostra di Massimo Di Mauro ed EVAKILLER DOG
A cura di Sofia Marzorati
Cos’è l’interiorità? Quel mondo magico, intimo e imperscrutabile che appartiene a tutti ed è sede della nostra emotività. Emotività che emerge e si fa presenza solo se siamo disponibili e aperti al dialogo, al confronto e alla condivisione. Emotività che diventa più forte, imperante e inarrestabile se creiamo con chi e ciò che ci circonda uno stretto rapporto di empatia che genera quella che in psicoanalisi viene definita risonanza emotiva. Come sostiene lo psichiatra Umberto Galimberti “Risonanza emotiva vuol dire sentire prima di mettere in moto la ragione, sentire cos’è bene e cos’è male, ciò che è grave e quello che grave non è”. In altre parole possiamo definire la risonanza emotiva come quel mix di sentimento, emozione e sogno che connatura l’anima umana. Qualcosa di tremendamente forte, indispensabile e irrinunciabile, che sgorga come un fiume all’interno di ognuno di noi e che assume le nostre sembianze, si fonde con ciò che ci appartiene e che ci dà forma.
E’ su questo clima di emotività dichiarata o latente che si fonda il lavoro di Massimo Di Mauro ed EVAKILLER DOG. L’approccio è diverso, lo stile anche ma il comune denominatore che li lega e che amalgama la loro pratica artistica è comunicare, comunicare e dare forma a qualcosa che in realtà, forma piena e autonoma non ha.
Nel titolo della mostra compare un termine: il cavaliere nero. Cos’è il cavaliere nero? Chi è l’uomo ritratto di spalle da EVAKILLER DOG? Potremmo attribuirgli un'identità ben precisa ma appare più idoneo in questa sede non identificarlo con una persona in particolare ma piuttosto ricondurlo a quel magico mondo delle emozioni di cui abbiamo accennato poco fa. Il cavaliere nero rappresenta la nostra
parte nascosta, oscura perché indecifrabile, non ha un volto ben definito, può essere ovunque e da nessuna parte nello stesso tempo. Fa parte di noi e ci permette di far emergere la nostra parte migliore, di discernere tra giusto e sbagliato, tra morale e immorale, tra tristezza e allegria. E’ un ottimo termine di paragone per far risaltare la bellezza, la speranza e la vita. Non è un caso, infatti, che EVAKILLER DOG abbia rappresentato il suo cavaliere circondato da un tripudio di colori e forme.
In che modo le opere di Massimo Di Mauro dialogano e convivono con quelle di EVAKILLER DOG? Qual è il legante? Cosa li unisce? Quando si parla di emozioni e di stati d’animo risulta difficile e complesso dare una risposta oggettiva, valida per tutti e inamovibile. Il responso ci arriva chiaro e forte se guardiamo la sua scultura autoritratto: metà del capo è scuro, metà dà sfogo al colore ed eccoci tornare a quella dicotomia che vive all’interno di noi. La nostra parte oscura non rappresenta la nostra essenza nella sua globalità. Noi non siamo solo nero, siamo anche e soprattutto il colore, la speranza, il bene. Nero e verde si toccano, dialogano tra loro e generano armonia ed equilibrio. La stessa percezione la avvertiamo nel trittico: un paesaggio naturale, alberi variopinti, una campagna rigogliosa ma, al centro, due linee nere che fanno da sfondo. Non rappresentano neanche un quarto dell’intera opera ma stanno lì, si fanno osservare e ammirare. Non hanno la pretesa di assorbire tutta la nostra attenzione, non la possono avere: i colori, la trasparenza di intenti, la varietà delle forme (e quindi degli stati d’animo) prendono il sopravvento e vincono sulle tenebre. Tenebre che tornano e si manifestano attorno a quello che per gli antichi egizi era un animale sacro perché in grado di connettersi e dialogare con il mondo dei defunti: il gatto. Il gatto di Massimo Di Mauro intimorisce e sdrammatizza nello stesso tempo. Ci trasporta con ironia e irriverenza nella sua psiche e nel suo modo di essere e ci convince sempre più di quanto sfaccettata e ricca sia la natura umana, in quel precario equilibrio di sentimenti ed emozioni che, volenti o nolenti, hanno la meglio su quella razionalità pura, precisa, rigida e fine a sé stessa che altro non fa che creare barriere e incomprensioni e generare solitudine e superficialità.