Una foresta di simboli cromatici, l'opera di Antonio Sanfilippo

Approfondimento sul dipinto, Senza fine, eseguito nel '54 dal maestro di Forma 1

«Quanto sino ad allora era stato rigore, implacabilità quasi della nuova ‘realtà’ (del tutto indipendente ormai dal referente naturalistico e dal successivo processo di astrazione operato nei suoi confronti) che la pittura concreta pretendeva per sé ‑ quant’era stato assioma e certezza, s’incrina, adesso, e si sperde: come quei residui di un eroso geometrismo che ormai più raramente appaiono, ‘figure’ adesso incerte e frananti, assediate dal fondo chiaro che ovunque le assale, nella spazialità sommossa del dipinto. Si slabbrano e fremono, quei corpi smagriti e violati da un’accelerazione franta del fare pittorico: smarriscono l’integra purezza plastica d’un tempo, l’impenetrabilità dei corpi all’aria che li circonda; ed è in questa foga prima sconosciuta che s’annida prima, poi prende forma definitiva, quel modo che di qui a poco sarà detto il “segno” di Sanfilippo» ( Fabrizio D’Amico ). Proprio di quel “segno”, al quale Sanfilippo, tra i fondatori nel 1947 del gruppo Forma 1 con P. Dorazio, A. Perilli, P. Consagra e G. Turcato, approda nel biennio ’53 – ‘54, lasciando dietro di sé il concretismo di matrice cubista e costruttivista, l’opera presentata dalla Galleria d'Arte Ottocento all'interno della mostra "Segno, Forma e Superficie_Arte astratta e informale in Italia", costituisce una prova superlativa: emerge il concetto di spazio elaborato dal pittore siciliano, uno spazio “da riempire, da popolare, da infittire: con un horror vacui che è prima di tutto amore per la forma originaria”.L’opera, percorsa da piccole campiture di colore, da una foresta di simboli cromatici, deriva dalle riflessioni elaborate da Sanfilippo dopo il secondo viaggio a Parigi, effettuato nel gennaio del ’51 con Carla Accardi (che aveva sposato nel settembre del ’49), durante il quale, non solo riscopre la poetica di Arp e Kandinsky, ma conosce personalmente Hans Hartung, la cui influenza risulterà decisiva per la sua pittura, e Alberto Magnelli, che già gli è ben presente, almeno dal ’48. Quella dei primi anni Cinquanta è una stagione particolarmente felice per il pittore siciliano: tiene, infatti, personali di rilievo in gallerie fortemente orientate sui nuovi linguaggi, quali la Vetrina di Chiurazzi a Roma, la Libreria Salto a Milano, l’Age d’Or a Roma, il Cavallino a Venezia, la Schneider nuovamente a Roma, il Naviglio a Milano.

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