Nel quadro della quinta edizione della Rome Art Week, l’artista Marco Galletti (in arte Kaey) ci invita ad una mostra che proietta il visitatore in un luogo non precisato, nell’esasperata visione del presente.
Le 11 sculture installate diventano tappe allegoriche di un viaggio che rivaluta icone pop e immagini dell’attualità, nel tentativo di stimolare la riflessione su determinate condizioni sociali, politico-economiche e morali, e di scatenare una polemica costruttiva sui rinvenuti resti della nostra contemporaneità.
La mostra sarà aperta al pubblico dalle ore 18:00 alle 23:00, dal 27 al 31 ottobre 2020.
Per favorire il pieno rispetto delle normative anti-contagio attualmente in vigore, gli accessi saranno contingentati e guidati dal personale che accompagnerà i visitatori negli spazi del C.S. Brancaleone.
Il percorso comincia dal Simbionte, scultura interrata nel giardino del Brancaleone, che riflette sulla possibilità di una coesione positiva di elementi naturali ed artificiali ai fini della Creazione, volontà che mette in moto l’essere umano in ogni sua azione ed attività. A questa si contrappone lo Zeitgeist, spirito del tempo ed essenza prima della vacuità della vita, che si galvanizza nell’anatema “Die Zeit frisst alles” : il tempo divora tutto.
Il passo successivo ci conduce al Carillon (War in a box) la cui musica attrae il visitatore come il canto di una sirena, accogliendolo con la sua dolce melodia in un misterioso ambiente animato dalle terribili ombre di conflitti e guerre. A questo punto interviene Before/After da revolution, la maschera dell’umanità che ricorre ad icone pop per incarnare ideologie sociali e politiche.
Il rischio di fronte al quale ci pone l’artista è quello di confondere un leader con un personaggio che persegue null’altro se non la realizzazione di un personale progetto di rivoluzione sociale.
Comfort Zone ci riporta all’attualità e rappresenta un viso che esplode e si espande verso l’esterno, sul quale sono proiettati dei volti. Il viso rappresenta il Virus e nasce da un appello lanciato da Kaey durante la quarantena indetta dal governo italiano: l’artista ha chiesto a chiunque volesse partecipare di ritrarsi nella propria casa, nella maniera che preferisse, per poi proiettare le immagini raccolte sulla scultura/virus.
Tra le proiezioni ci sono espressioni sorridenti, sofferenti, frammentate, impaurite.
L’obiettivo è quello di far riflettere sull’improvvisa presa di coscienza di non essere mai al sicuro, poiché ora più che mai siamo tutti uguali, siamo tutti rinchiusi, siamo tutti sani, siamo tutti infetti. Non esiste un nemico reale. Il virus prende tutti, non fa distinzioni.
Allo stesso modo, il Parassita si fa metafora della tecnologia che invade la nostra vita appropriandosi di ogni parte del nostro essere e si nutre delle nostre energie (e dei nostri dati) crescendo e acquisendo sempre più potere, tanto da sopraffare l’organismo ospitante.
Proseguendo incontriamo i Nuclei, il cui ritrovamento rappresenta la rinascita ed introduce la svolta propositiva del nostro viaggio: Pneuma, un’esperienza sensoriale che riprende in un ossimorico parallelismo lo Zeitgeist ed invita lo spettatore a riappropriarsi del suo tempo, a riscoprire il piacere dei dettagli, della riflessione e dell’introspettiva.
Quest’ultima parte del percorso si può riassumere nel tentativo da parte dell’uomo di dare una nuova forma alla Natura e ai suoi elementi, confacente ai suoi bisogni e assoggettata alle sue necessità. Modern Prometheus vol. II ci presenta una figura di fattezze umane, nella cui schiena l’artista ha conficcato 23 coltelli. La creatura, concettualmente simile al Frankenstein di M. Shelley, diventa vittima del fallimento dell’umano-creatore, il quale tradisce il frutto del suo stesso intelletto e cerca di distruggerlo nel tentativo di nascondere il proprio errore alla vista del mondo.
Persefone si presenta come una doppia installazione dove la visione della video-performance realizzata nel 2017 da Kaey, in cui si narra del ratto di Persefone, è affiancata all’esposizione delle maschere utilizzate dai performers, rielaborate al fine di enfatizzare all’estremo l’allegoria di ciascun personaggio, mostrando la maniera in cui lo stesso elemento può essere riletto e rivalutato dal suo stesso creatore in cui diverso momento della sua vita, anche alla luce di un contesto ed un’attualità differente.
Il nostro viaggio termina con Agata: un’entità che racchiude in sé tutto ciò che è espressione del buono e del giusto; un nuovo punto di riferimento per l’uomo e per l’artista che, al termine di questo percorso di distruzione, smarrimento e ricostruzione, trova in Agata il proprio centro gravitazionale e la fonte alla quale rivolgere le sue attenzioni.