Il corpo femminile è sempre stato un campo di battaglia. Definito, idealizzato, oggettivato — ma mai veramente appartenuto a sé stesso.
Questa mostra è un atto di riappropriazione: riprendersi il corpo, svelare l’invisibilità dello sfruttamento e permettere alle donne di costruire la propria identità con la propria voce.
Il corpo non è solo una forma; è una memoria, un pensiero, un paesaggio. Frammentato, represso, idealizzato — una volta ricomposto, genera nuovi significati. Attraverso il collage esploro i limiti imposti al corpo, le strutture del desiderio e le convenzioni che lo imprigionano. Ogni taglio, ogni ricomposizione è un gesto di resistenza.
Il corpo femminile non deve essere né nascosto né esibito — deve essere ripensato. La forma più pericolosa di sfruttamento è l’invisibilità. Alienare le donne dal proprio corpo è la strategia più profonda del patriarcato. La mia pratica mira a sovvertire questa alienazione, trasformando il corpo da superficie passiva a spazio vivo e consapevole.
Questa mostra non è solo una critica, ma una rinascita. Il corpo femminile non è più un’immagine — è soggetto, testimone, resistenza.
Qui il corpo parla. Perché la libertà comincia dal corpo.