Podocatharus, è uno scultore contemporaneo romano, la cui ricerca si distingue per una forte componente concettuale che esplora la relazione tra diverse discipline. Le opere si caratterizzano per l’interazione tra l’uomo e le sue percezioni fisiche ed emotive, suggerendo una riflessione profonda sull’esistenza e sull’esplorazione della natura.
L’artista parte dalla riflessione per cui una vera opera d’arte è un concetto e come tale sia una risposta. Quando, però, l’uomo si trova in situazioni e contesti che pongono domande a cui è difficile, se non impossibile darne una. L’unica soluzione è il rifugio nella poesia: un’attività così apparentemente slegata dalla realtà - eppure così profondamente radicata nell’ animo umano - da risultare, oltre ad una denuncia di dolore, una panacea, quasi fosse l’unica terapia possibile. L’azione artistica proposta è quella di spostare il transfer del trauma e portarlo sulla materia: nell’utilizzo della poesia si concretizzano opere che allineano simbolismo intenso e la profonda riflessione sull'esistenza umana.
La poesia, da cui la mostra prende il sottotitolo, è Roman Cinéma di Giuseppe Ungaretti (faceva parte di una serie pubblicata a Parigi nel 1919 in lingua francese da cui poi l’autore prenderà le distanze) dedicata all’amico d’infanzia Moammed Sceab, compagno di studi e di percorsi di vita, morto suicida nel 1913.
…II
fiore dall’esile stelo
Gracile figlio bianco
Che ondeggiavi nel vento
Mentre lei si struggeva
Che ondeggiavi nel vento
III
ormai sei esperto
In perfezione di nero… (estratto)
In particolare, nell’opera Opuscolo Parigino il riferimento all’alabastro, al deserto e alla materia nera è esplicito e cattura tutto il pathos che la poesia ungarettiana trasmette. Il nero dell’inchiostro - strumento del linguaggio - viene qui sottolineato da uno sfumato che è un artificio tecnico che ne sottolinea l’impossibilità di capire appieno il profondo significato della poesia.
La mostra si apre con un esempio significativo di poesia scritta con la materia: la scultura dedicata alla Basilica di Santa Croce di Lecce (tra le più elevate manifestazioni dello stile barocco locale).
La parte materica, nella parte bassa dei due registri, è usata come se fosse un esametro dedicato alle sfumature delle tenui tinte, tipiche della palette dei colori della pietra leccese, utilizzata nelle facciate delle chiese in cui il colore nero è un iperbato per dare maggiore intensità al verso scultoreo.
Sostituire la parola con la materia, che diventa esperienza, è stato il concetto alla base della realizzazione di questa serie di opere, già esposte a Palazzo Amati a Taranto nel 2022.
La rappresentazione architettonica è uno strumento per identificare la forma perfetta del pensiero e della verità stessa. Le chiese sono lo strumento scelto per l’analisi delle facciate che consiste nella dissezione delle singole parti e nella ricostruzione del fronte dell’edificio dove emergono varchi, spiragli e fessure che mettono in evidenza movimento e profondità.
La disposizione delle parti materiche è un richiamo al ritmo del vuoto/pieno tra materia scolpita e decorazioni tipiche dei portali del barocco pugliese.
La poesia è arbitraria, è analogica ma non è infinita. Il problema della comunicazione unidimensionale e lineare, come quello del linguaggio, è che si rende necessario un traduttore per per immetterla in una struttura comunicativa come la teca, il più possibile isomorfa.
Le teche (che contengono le opere) sono il media non testuale, ma iconico per mediare l’organizzazione dell’informazione da trasmettere e anche la poesia fa lo stesso perché è modalità ipermediale del pensiero. Il sapere è orizzontale per la sua natura nozionistica, la poesia è verticale come l’opera. La verticalità è suscitata dai vari registri della teca.
La teca conserva l’opera in una custodia perfetta. Negli elementi di materia in fondo alla teca si intravede la forza attrattiva della terra, dove le cadute sono eventi incontrollati e incontrollabili.
Così come la poesia usa solo le parole necessarie, così la teca racchiude il necessario.
Le teche sono opache perché rappresentano il momento prima del disvelamento, in cui la materia si sovrappone alla parola della poesia, un attimo prima che i due neri (della parola e della materia) si fondano, prima che una nuova verità si manifesti in tutta la sua lucentezza.
L’effetto blurred presente nelle sculture scherma il caos, è il momento aurorale comune alla poesia come tale e alle vere opere d’arte.
Altro punto cardinale nella ricerca dell’artista è la citazione della natura nel registro superiore di alcune opere: una dedica alle possibilità di trovare quel minimo comune che unisce il tutto, come avviene con il dolore presente nelle opere richiamate nelle poesie. Inserire l’elemento naturale direttamente sulla materia colorata è il tentativo di sottolineare l’eterna metamorfosi dell’uguale. La natura è inconscio collettivo e serve come decodificatore necessario tra la materia stessa e la poesia scelta, catalizzatore per un istante, dopo aver esaurito il suo compito - sospendere per un attimo l‘irreversibile - è destinata a svanire. L’albero è un segno di rispetto e scetticismo derivanti dalla comprensione della necessaria e tragica condizione della propria esistenza davanti alla natura.
Questo è quello che Podocatharus intende come contatto con l’assoluto: generare la coscienza di ciò che è presente nel tutto e nel sempre.
L’artista ci accompagna a percorrere una strada che interseca filosofia, arte, linguaggio, alla ricerca di risposte e riflessioni tra parole e concetti, in un’altalena di rimandi e spiegazioni, ci ritroviamo a scombinare la linearità del nostro pensare quotidiano, diventiamo interlocutori di qualcosa che sembra più grande di noi, ma ci appartiene, a condividere un nuovo processo dell’esperienza.