Corpo / Primario è un titolo insolito se riferito alla carta come medium. Tuttavia, questo titolo è già di per sé una dichiarazione di intenti che – nella lettura curatoriale di Vania Caruso e Rossella Della Vecchia – la emancipa dal suo ruolo ancillare, attribuendole uno spazio di intervento focale: non più mero supporto, ma soggetto dell’opera, come materia scultorea o, in senso simbolico, come materia corporea da plasmare. Un corpo inciso, scavato, “scarnificato”: un corpo segnico che lascia testimonianza di forme espressive primarie, capaci di delineare nuove rotte di mediazione nel campo dell’arte.
Ripensate in ottica dialogica, negli spazi della Galleria 291 Est - dal 18 ottobre al 15 novembre 2025 - le pratiche processuali di Massimiliano Amati (Locorotondo, 1979) e Daniele Zonta (Bassano del Grappa, 1987) contemplano una dimensione algoritmica, evidenziata da una reiterata serie di gesti codificati, tanto in ambito umano quanto in quello “non-umano”. È questa un’inedita grammatica di rovine semantiche e/o biologiche che intensifica l’espressione gestuale nelle applicazioni del medium, a partire da ciò che le è stato materialmente sottratto.
In tal senso, la ricerca di Amati si sviluppa attraverso operazioni animate da una logica prossima a quella algoritmica, qui declinata in chiave analogica. Un processo minuzioso e stratificato che si compie nell’uso di un bisturi chirurgico -precisa interfaccia tra l’artista e il supporto- con cui egli interviene nell’upcycling di vecchi volumi. Riletto come inedito medium scultoreo, ogni art-book si carica di una densità tattile che ne sfida le apparenti fragilità. In mostra, i suoi corpi cartacei si articolano per tematica, trasfigurandosi potenzialmente in inedite cartografie a rilievo: l’atto finale di una chirurgia semiotica, che ne incide e ne frammenta i testi e le immagini in un’espressione alternata di pieni e vuoti, capaci di ridefinire la geografia morfologica del presente.
Diversa, ma complementare, la ricerca di Daniele Zonta si struttura come un algoritmo aperto, all’interno del quale viene introdotta l’aleatorietà del fattore biologico. Inscritto in una contestuale riflessione su forme di espressione primaria, tale protocollo generativo vede l’artista come deus ex machina, che delega parte della produzione dell’opera a un organismo vivente. Infatti, sono i grilli campestri a generare materialmente l’opera divorando i fogli di Wafer Paper in un ambiente controllato, circostanzialmente definito dall’artista (umano). Il risultato è quello di una carta erosa, spesso accostata a inserti in foglia d’oro o d’argento, che, una volta incorniciata, si presenta come mappa organica di un processo biologico, cristallizzato nella manifestazione spazio-temporale – e spesso anche sonora – di un sotteso agire famelico.