Vitae
Vitae, ovvero dello splendore della vitalità
“Lo slancio di vita di cui parliamo, consiste in una esigenza di creazione” H. Bergson
Vito Di Bella, Giuliana Paolucci, Luana Romano, con Vitae, intendono evocare il fantasma grandioso di Henri Bergson per farne un comodo zerbino alle loro ricerche pittoriche. Con il filosofo francese sostengono che la vita, come un fascio di steli, esplode in direzioni divergenti e tutte all'insegna di una straordinaria creazione e di uno slancio inarrestabile. Entriamo immediatamente in medias res.
Vito Di Bella ama e stima Fausto Pirandello, ma ne contesta la filosofia. Bagnanti. Alla carnalità impietosa e tragica del figlio del grande Luigi, oppone un’attualità che tale non è. Nient’altro che la Grecia di Kavafis sovrapposta trionfalmente al nostro mondo. La scrittura vibrante dimostra il vitalismo inesauribile del piacere. I suoi giovani al mare altro non sono che Orfeo e Narciso, ancora una volta, discesi “a miracolo mostrare”. La loro è, appunto, un’immagine di compimento, la visione di un Eden pagano che vede la redenzione definitiva (anche se utopica) nell'espansione di una sensualità che canta al mondo a dispetto del mormorio funebre degli inquisitori.
Giuliana Paolucci crede nell'umanità e nella sua vita dinamica, colorata, non aggirabile; ha il sospetto che l’esistenza, nel suo fondo, sia pesante e dura. Per questo affida alla pittura il compito di alleggerire il cosmo affinché sfugga al suo destino di materia deietta. Ecco il colore che si scioglie, evapora, si vuole e si sogna liquescente. Alleggerire il mondo e gli uomini significa anche approdare sul terreno della poesia; una poesia segnata da un dionisismo esente però da morbosità e follia.
Dalla vita però, sostiene Luana Romano, non possiamo rimuovere il tragico. La pittrice oscilla fra figurazione e astrazione; incredibili le sue “città” che bruciano nel fuoco di un incendio straripante e metafisico; un incendio che sogna Dante e Bosch. Luana Romano: una riedizione contemporanea del Sublime; mette a nudo il suo animo romantico; il “paesaggio”, nella sua apocalisse, indica una bellezza fuori norma. Stupendamente lo scenario del mondo si oscura e il flauto delle ninfe affoga in un rogo insieme funesto e irresistibile.
Domandiamoci, in conclusione, da dove scaturiscono questi tre vitalismi. La risposta, a nostro parere, è assai semplice. Originano dalla vitalità della pittura che si esalta nel suo deridere le numerose (quanto fallimentari) dichiarazioni di morte. Ma non basta; nella loro esuberanza, le opere di Vitae dichiarano che l’arte è il luogo dove l'esistenza viene meno e appare l’Essere in tutta la sua eterna provvisorietà. Il mondo dell’immaginario, un immaginario di cui i nostri tre autori sono convinte vittime, denuncia un tempo fuori del tempo e, insieme, un tempo tutto nel nostro tempo. Il reale, afferma Sartre, non è mai bello; la bellezza, concludono, si riferisce unicamente alla visione che trova nella pittura, lo ripetiamo, il suo luogo privilegiato e l’unico paradiso che ci è concesso. Di un tale paradiso, noi fruitori, siamo i parassiti meravigliati, incantati e irrimediabilmente sedotti.
Robertomaria Siena