Un ragazzo in giacca e cravatta, con i capelli lucidi di brillantina, posa con lo sguardo fiero. Due ragazze sorridono mentre stringono tra le mani un 45 giri, trofeo di una serata trascorsa a ballare il twist. Una Vespa lucida, parcheggiata accanto a tessuti a righe, diventa scenografia per un ritratto elegante e moderno.
Non è Roma di Fellini, ma Bamako negli anni Sessanta: è qui che Malick Sidibé immortala la sua “dolce vita africana”.
La mostra “La dolce vita africana”, ospitata alla Black Liquid Art Gallery di Roma (Via Piemonte 69, a pochi passi da Via Veneto) e curata da Antonella Pisilli, mette in dialogo due mondi apparentemente lontani – la capitale italiana della Dolce Vita e la capitale del Mali nel pieno della sua rinascita post-coloniale – rivelandone sorprendenti affinità.
Così come Roma veniva raccontata dai paparazzi che affollavano via Veneto, Bamako trovava nello studio di Sidibé e nei club notturni la sua ribalta: musica cubana, rumba congolese, twist e cha cha cha accompagnavano la nascita di una nuova identità collettiva. Roma brillava sotto i flash, Bamako danzava sotto le luci dei party.
Il lavoro di Sidibé non racconta solo la spensieratezza di una gioventù che ballava fino all’alba. Le sue immagini custodiscono anche un significato più profondo: la fotografia come testimonianza di un Mali appena uscito dal colonialismo, Sidibé immortalava la nascita di una borghesia urbana, desiderosa di vestirsi all’occidentale e di vivere secondo i codici della modernità, ma allo stesso tempo ancorata al rispetto della comunità e delle consuetudini locali. In questo dialogo costante tra voglia di progresso e radici culturali, tra emancipazione e contraddizione, si colloca il valore universale del suo sguardo.
Il percorso espositivo invita il pubblico romano a scoprire l’atmosfera gioiosa e vitale della gioventù maliana degli anni Sessanta e Settanta, rievocata attraverso fotografie originali e materiali inediti.
Tra le opere presentate, spiccano per la prima volta fotografie provenienti dalla collezione privata della celebre fotografa francese Françoise Huguier, testimone attenta e appassionata del continente africano. Un’occasione rara che arricchisce la mostra con scatti mai visti prima, in grado di ampliare ulteriormente la comprensione della “dolce vita africana”.
Non solo immagini: il percorso propone anche una ricostruzione immersiva dello Studio Malick, con tessuti a strisce, una Lambretta d’epoca e musica del tempo. Un omaggio filologico e poetico a un luogo che non era soltanto uno studio fotografico, ma un palcoscenico sociale dove i giovani del Mali cercavano la propria immagine migliore.
Definito il “fotografo della notte africana”, Malick Sidibé ha saputo catturare l’essenza di una generazione che sognava e danzava, simbolo di una modernità condivisa con l’Occidente.
Nel 2007 la Biennale di Venezia gli ha conferito il Leone d’Oro alla carriera, riconoscendo la portata universale della sua opera.
«Il bianco e nero ha un impatto più forte e dura nel tempo», sosteneva Sidibé. E in effetti i suoi scatti – ragazzi vestiti all’occidentale, coppie che danzano, feste in riva al Niger – raccontano con forza la libertà, l’eleganza e la vitalità di un’epoca.
«Ricreare lo Studio Malick nel cuore di Via Veneto – spiega la curatrice Antonella Pisilli – significa far dialogare due città che, pur lontane, hanno vissuto la modernità come festa. La Dolce Vita romana e la Dolce Vita africana si specchiano, rivelando che la gioia, il desiderio di emancipazione e le contraddizioni degli anni Sessanta sono stati un linguaggio universale».