Corpus et Vulnus: Una poetica della ferita
Il titolo latino – Corpus et Vulnus, ovvero Corpo e Ferita – è già dichiarazione di poetica. Fa riferimento diretto al libro omonimo pubblicato nel 2023 (Edizione IP), che propone una lettura critica delle opere di Antoni Tàpies, Anselm Kiefer e Claudio Parmiggiani. Tre artisti centrali nella storia del contemporaneo, accomunati da una visione dell’arte come superficie lacerata, memoria carnale, materia intrisa di storia e tensione spirituale. Quell'indagine teorica si è fatta ora corpo visivo, video, spazio vissuto.
IL VIDEO: 40 MINUTI DI IMMERSIONE NEL RESPIRO DELL’ARTE
Il fulcro della mostra è un video della durata di 40 minuti, che non si limita a registrare ma reinventa il linguaggio dell’installazione artistica attraverso un montaggio serrato e meditativo di immagini in macro. Lo spettatore è trasportato in un viaggio visivo e sensoriale attraverso forme, tessiture, ombre e vibrazioni materiche. Il dettaglio è il protagonista assoluto: lo sguardo si immerge nella trama della materia, nelle pieghe del pigmento, nella tensione tra segno e superficie, nella vibrazione del colore e della luce.
Questa scelta visiva non è casuale. È una dichiarazione metodologica: guardare da vicino, penetrare la pelle dell’opera, coglierne il battito interno. Non si tratta di mostrare l’opera nel suo insieme, come accadrebbe in un’esposizione tradizionale. Al contrario, il video dissolve ogni distanza e invita lo spettatore a diventare parte dell’opera stessa, come se ne condividesse la respirazione, le mutazioni, le ferite.
ARTE COME ORGANISMO VIVENTE
Il concetto cardine su cui si fonda Corpus et Vulnus è l’idea dell’arte come organismo vivo, poroso, ferito. Non oggetto da contemplare, ma soggetto con cui entrare in relazione. Le opere coinvolte – frutto di pratiche individuali ma anche di un processo curatoriale condiviso – si presentano come Organismi-Artistici-Comunicanti: entità instabili, reattive, capaci di dialogare silenziosamente con l’ambiente, con il pubblico, con la memoria collettiva.
In questa visione, ogni opera è un corpo vulnerabile, un campo di tensione tra presenza e assenza, tra costruzione e disgregazione, tra materialità e risonanza spirituale. La vulnerabilità non è un limite ma una condizione essenziale dell’opera. È ciò che la rende viva, permeabile, generativa.
LUOGHI CHE PARLANO
Il progetto si è sviluppato in tre sedi profondamente significative:
- Velletri – ex Carcere Pontificio: un luogo che porta inscritto nel suo spazio fisico e simbolico il tema della ferita e della prigionia. Qui l’arte si misura con la memoria storica, con la clausura del corpo e dell’anima, con le stratificazioni del tempo.
- Parigi – Istituto Italiano di Cultura: un ponte culturale tra l’Italia e l’Europa, tra tradizione e contemporaneità. Qui il progetto assume una dimensione transnazionale, confrontandosi con la ricerca artistica emergente delle scuole e delle accademie europee. Parigi diventa così il nodo di un dialogo aperto e plurale.
- Roma – Museo di Villa Altieri: spazio museale nel cuore della città eterna, luogo di sedimentazione culturale e di tensione tra passato e presente. A Roma il progetto trova il suo punto di compimento, entrando in dialogo con la storia dell’arte, dell’architettura e della memoria collettiva.
DALLA TEORIA ALLA PRASSI: IL LIBRO COME MATRICE
Il video e l’intero progetto traggono ispirazione dal volume “Corpus et Vulnus: Tàpies, Kiefer, Parmiggiani”, curato dallo stesso Illuminato. In esso si esplora il concetto di ferita non come trauma da sanare, ma come apertura, come possibilità di conoscenza, come accesso al mistero del corpo e del mondo. I tre artisti analizzati – Tàpies con la sua materia graffiata e trascesa, Kiefer con le sue narrazioni storiche impresse in piombo e cenere, Parmiggiani con le sue impronte e reliquie di luce – rappresentano tre declinazioni di una stessa poetica: l’arte come carne segnata, come gesto che sfiora l’invisibile.
Il passaggio dal libro al video è un atto di traduzione incarnata: la riflessione teorica si fa visione, tempo, spazio. Il pensiero critico prende corpo nelle immagini, nei suoni, nei silenzi.
UNA MAPPA DEL CONTEMPORANEO
"Corpus et Vulnus" è anche una mappa aperta del contemporaneo artistico internazionale. Non solo perché coinvolge luoghi e pubblici differenti, ma perché si pone come dispositivo capace di accogliere – e in qualche modo sintetizzare – le molteplici direzioni della sperimentazione attuale. Dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla videoarte, dalla pratica performativa al dialogo con le nuove tecnologie, il progetto si nutre della pluralità dei linguaggi e delle poetiche.
Particolare attenzione è stata dedicata al lavoro di giovani artisti provenienti da scuole e accademie europee, il cui sguardo fresco e spesso radicale ha contribuito ad arricchire il progetto con energie nuove e prospettive inattese. IOSONOVULNERABILE non è una vetrina, ma un laboratorio vivo in cui l’arte si confronta con la fragilità dell’esistenza, con il limite, con la trasformazione.
VULNERABILITÀ COME RESISTENZA
Nel mondo contemporaneo, dominato dalla logica della performance, della visibilità e del controllo, parlare di vulnerabilità è un atto sovversivo. Significa restituire valore all’imperfezione, alla frattura, all’incompiutezza. Significa affermare che la forza dell’arte non risiede nella sua invulnerabilità, ma nella sua capacità di farsi toccare, di aprirsi all’altro, di lasciare una traccia sensibile.
In questa prospettiva, Corpus et Vulnus è anche un atto politico. È un invito a considerare la pratica artistica come forma di resistenza al cinismo e all’omologazione, come spazio di autenticità e di esposizione del sé. L’artista non è qui demiurgo onnipotente, ma corpo sensibile che si espone al mondo, che lo attraversa lasciandosi attraversare.
UN'ESTETICA DELLA FERITA
L’estetica che attraversa il progetto è un’estetica della ferita, del segno, dell’eco. Non è una bellezza liscia o pacificante, ma una bellezza ruvida, inquieta, che interpella e coinvolge. Le opere parlano di fragilità, ma lo fanno con forza. Mettono in discussione il mito dell’integrità, dell’autonomia, dell’opera chiusa e finita. Al contrario, si presentano come processi aperti, come tracce di un passaggio, come residui carichi di senso.
Questa estetica della ferita si manifesta anche nella dimensione sonora del video: silenzi, respiri, suoni lievi o spezzati accompagnano le immagini, creando un paesaggio emotivo che avvolge lo spettatore e lo invita a un ascolto profondo.
UN’OPERA-ARCHIVIO, UN’OPERA-VIVENTE
Corpus et Vulnus si configura infine come opera-archivio e opera-vivente. Archivio, perché raccoglie una pluralità di voci, esperienze, pratiche, visioni. Vivente, perché non si chiude in un formato definitivo, ma continua a trasformarsi, a mutare, a interagire con i contesti in cui si presenta.
Non è un’opera da esporre, ma da abitare. Non una fine, ma un punto di partenza per nuove ricerche, nuovi dialoghi, nuove ferite da attraversare.