Corpus et Vulnus non è una mostra, né una documentazione filmica. È un attraversamento. Un’esperienza immersiva che mette in crisi le categorie dell’esposizione e della rappresentazione, per aprire lo spazio della relazione e della vulnerabilità. Al centro del progetto IOSONOVULNERABILE, ideato e realizzato da Sergio Mario Illuminato tra il 2023 e il 2025, Corpus et Vulnus si sviluppa in tre luoghi fortemente simbolici e culturalmente stratificati: l’ex Carcere Pontificio di Velletri, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e il Museo di Villa Altieri a Roma. Luoghi diversi, ma accomunati da una tensione tra memoria e trasformazione, tra ferita e possibilità.
Il titolo, in latino, è già dichiarazione di poetica: Corpus et Vulnus, ovvero corpo e ferita, non come polarità ma come unità inscindibile. È un riferimento diretto al volume omonimo pubblicato nel 2023 (Edizione IP), in cui Illuminato propone una lettura critica dell’opera di Antoni Tàpies, Anselm Kiefer e Claudio Parmiggiani. Tre artisti centrali nella riflessione contemporanea sull’arte come materia attraversata dal tempo, superficie incisa dalla storia, spazio spirituale segnato. Quel lavoro teorico, incentrato su una nozione della ferita come apertura conoscitiva e tensione metafisica, diventa ora corpo visivo, esperienza viva, immersione sensibile.
Il fulcro dell’intero progetto è un video della durata di 40 minuti che reinventa radicalmente il linguaggio dell’installazione documentaria. Non si tratta di registrare o illustrare, ma di entrare. Le immagini in macro, il ritmo meditativo del montaggio, l’attenzione ossessiva al dettaglio creano una vertigine percettiva. Lo spettatore è trasportato dentro la materia dell’opera, dentro le sue pieghe, le sue lacerazioni, le sue vibrazioni. Il dettaglio non è qui un frammento, ma un mondo: ogni particella di pigmento, ogni traccia, ogni respiro di luce diventa soglia sensibile. L’opera non è mostrata nella sua totalità, come avverrebbe in una mostra tradizionale, ma disgregata e rigenerata in una visione che dissolve la distanza, che trasforma l’occhio in carne e ascolto. L’arte, in questo processo, non è più oggetto da contemplare, ma organismo con cui entrare in relazione.
L’idea centrale che attraversa Corpus et Vulnus è quella dell’arte come corpo vivo e vulnerabile. Ogni opera è un’entità instabile, porosa, che reagisce al tempo e al luogo, che si offre come organismo comunicante e attraversabile. La vulnerabilità non è una condizione da superare, ma ciò che rende l’opera sensibile e generativa. Le opere coinvolte non sono esposte, ma esposte a: al tempo, allo sguardo, alla memoria, al silenzio. Sono corpi segnati, campi di tensione tra assenza e presenza, tra materialità e trascendenza. L’arte non come oggetto finito, ma come processo in divenire, come traccia viva del passaggio umano e spirituale.
I tre spazi in cui il progetto si è articolato non sono semplici contenitori, ma luoghi attivi, parlanti, che partecipano al senso dell’opera. A Velletri, nell’ex carcere pontificio, l’arte si confronta con la memoria reclusa, con la clausura del corpo e dello spirito, con le stratificazioni del tempo che abitano le pareti. A Parigi, presso l’Istituto Italiano di Cultura, il progetto si apre al dialogo internazionale, diventando ponte tra generazioni artistiche e geografie culturali differenti, grazie anche al coinvolgimento di giovani artisti provenienti da accademie europee. A Roma, nel Museo di Villa Altieri, l’opera si confronta con la sedimentazione della memoria storica e con il corpo vivo della città, trovando un punto di compimento provvisorio che è anche rilancio.
Il video nasce come traduzione incarnata del libro “Corpus et Vulnus: Tàpies, Kiefer, Parmiggiani”. I tre artisti indagati – con i loro linguaggi così diversi ma profondamente connessi – rappresentano una comune poetica della ferita come segno e soglia: Tàpies con la sua materia graffiata e trascesa, Kiefer con le sue stratificazioni storiche e alchemiche, Parmiggiani con le sue assenze incise dalla luce. Ma il passaggio dalla teoria alla visione non è illustrativo: è un atto creativo autonomo. Il pensiero si fa corpo, tempo, immagine. Il saggio diventa respiro visivo. Le pagine si trasformano in silenzi, in rumori, in battiti.
Corpus et Vulnus si configura anche come mappa del contemporaneo artistico. Non perché voglia dare una sintesi, ma perché accoglie la pluralità delle pratiche attuali: pittura, scultura, installazione, videoarte, performance, dialogo con le tecnologie. Il progetto è un campo aperto, in cui la sperimentazione è viva e vitale, in cui l’opera non è mostrata ma condivisa. I giovani artisti coinvolti – con sguardi a volte acerbi, ma radicali – hanno arricchito questa costellazione con linguaggi spiazzanti, con tensioni nuove, con aperture inaspettate. IOSONOVULNERABILE non è una vetrina, ma un laboratorio. Non è un’esposizione, ma un’esperienza trasformativa.
Parlare oggi di vulnerabilità, in un mondo dominato dal controllo, dall’efficienza e dalla visibilità, è un gesto profondamente politico. Significa restituire valore all’imperfezione, alla frattura, alla possibilità di cadere e di ricominciare. L’artista non è qui un demiurgo onnipotente, ma un corpo che si espone, che si lascia toccare, che accetta la propria porosità. La ferita diventa così non solo cifra poetica, ma anche forma di resistenza. L’opera vulnerabile è un atto di autenticità contro la spettacolarizzazione, uno spazio di ascolto contro il rumore del mondo.
L’estetica che attraversa il progetto è un’estetica del segno, del resto, dell’eco. Le opere non rassicurano, interrogano. Non pacificano, ma aprono. Sono bellezze ruvide, inquietanti, che chiedono tempo, che domandano presenza. Anche la dimensione sonora del video – fatta di sospensioni, respiri, silenzi spezzati – costruisce un paesaggio emotivo che avvolge lo spettatore e lo costringe a un ascolto non passivo, ma corporeo.
Corpus et Vulnus è, infine, un’opera-archivio e un’opera-vivente. Archivio, perché custodisce esperienze, voci, memorie, segni. Vivente, perché si trasforma, perché si rigenera ogni volta che viene vista, pensata, abitata. Non è un’opera chiusa, ma una soglia sempre aperta. Un atto incompiuto. Un inizio.