Vulnerare

Questa è l’ultima testimonianza del patrimonio storico dell’exCarcere Pontificio di Velletri rimasto intatto per due secoli prima di sperimentare una trasformazione irreversibile

Sei mesi dentro un carcere abbandonato. Celle vuote da trent'anni, muri scrostati, silenzio pesante. Un gruppo di artisti italiani entra dove nessuno vuole stare e trova qualcosa di inaspettato: la bellezza nascosta nel dolore.

Ora quella scoperta arriva in America. "VULNERARE", il cortometraggio nato dall'ex-Carcere Pontificio di Velletri, è stato selezionato dal Festival of Cinema NYC, l'unico festival cinematografico della città sostenuto dal National Endowment for the Arts, dal New York State Council on the Arts e dal New York City Department of Cultural Affairs.

Quando l'arte abita le ferite

L'ex-Carcere Pontificio di Velletri racconta una storia che attraversa i secoli. Costruito nell'Ottocento sotto l'autorità papale, quando la Chiesa Cattolica governava gran parte dell'Italia centrale, questa imponente struttura fungeva sia da tribunale che da centro di detenzione per quello che allora erano gli Stati Pontifici. Per oltre un secolo ha ospitato prigionieri, ha assistito a processi, incarnando il sistema giudiziario di un'epoca ormai passata.

Chiuso negli anni '90 con la modernizzazione del sistema penitenziario italiano, l'edificio è rimasto vuoto per tre decenni: un monumento dimenticato al potere istituzionale trasformato in reliquia. Nel 2023, di fronte alla demolizione programmata, sembrava destinato alla cancellazione dalla storia.

Ma prima che accadesse, pittori, fotografi, danzatori e musicisti ne hanno fatto casa. Per sei mesi hanno abitato celle decadenti e corridoi bui, trasformando ogni angolo in un laboratorio creativo -trasformando gli spazi abbandonati d'Italia in luoghi di resurrezione artistica.

 

Il risultato è "VULNERARE": 13 minuti e 30 secondi che sfuggono a ogni definizione. Non è solo cinema sperimentale, non è solo videoarte. È un viaggio nell'anima umana attraverso quello che il regista Sergio Mario Illuminato chiama "Organismi Artistici Comunicanti"- opere vive che cambiano, fermentano, si trasformano davanti agli occhi dello spettatore.

Questi elementi, come spiega lo psicologo di cinema Giulio Casini, "agiscono come lampi di colore puro, permettendo ai mondi della pittura e della realtà di comunicare profonde pulsioni interiori".

"Pareti, pavimenti, soffitti diventano tagli, ferite, faglie", aggiunge lo storico dei media Bruno di Marino. "I gesti coreografici e la materia pittorica si fondono in un'unica partitura visiva grazie al montaggio chirurgico e ai giochi di luce."

Vulnerabile dunque vivo

"Questo luogo non è solo un carcere abbandonato, ma una cattedrale contemporanea della vulnerabilità", dice Illuminato. "È un luogo di rinascita ed è l'arte che deve esprimere questa trasformazione."

Il film si chiude con una scritta incisa su una parete del carcere: "Vulnerabile dunque vivo, arte è amare la realtà" e un messaggio: IOSONOVULNERABILE, che in codice morse viene nascosto nella traccia audio del cortometraggio.

La metodologia di Illuminato, che lui chiama "CINEMA DELLA SOGLIA" della presenza e della relazione, cattura l'autenticità delle emozioni attraverso improvvisazione e spontaneità. Niente copioni, solo vita che accade.

Un cast che danza tra le macerie

Le coreografie di Patrizia Cavola e Ivan Truol della Compagnia Atacama, con Camilla Perugini e Nicholas Baffoni, trasformano spazi claustrofobici in palcoscenici di libertà. La fotografia di Federico Marchi e Roberto Biagiotti gioca con il passaggio dal bianco e nero del passato all'esplosione di colori della rinascita. La colonna sonora di Andrea Moscianese e il sound design di Davide Palmiotto accompagnano lo spettatore dalla drammaticità carceraria verso un orizzonte di possibilità creative.

Dalla performance al riconoscimento mondiale

Prima di diventare cinema, "VULNERARE" è stato esperienza dal vivo. Migliaia di visitatori hanno attraversato l'ex-carcere, poi l'Istituto Italiano di Cultura di Parigi, poi il Museo di Villa Altieri a Roma. Ogni volta la stessa scoperta: la vulnerabilità come forza, non come debolezza.

"Aprire quei faldoni impolverati significa far scorrere agli spettatori una storia personale forse perduta per sempre", scrive il critico cinematografico Sergio Battista. "Un corto che cerca di aprire un canale comunicativo con i contemporanei parlando di memoria e di luoghi dove questa memoria si è condensata."

Su un muro del carcere c'è scritto: "I tagli sulla pelle non sono un'illusione non guariscono più". Parole che suggellano come la realtà impatti nella vita senza chiedere permesso, lasciando segni indelebili. Ma anche come questi segni possano diventare arte.

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