“Dalla cultura degli scarti alla cultura dell’armonia”: con queste parole Papa Francesco sembra catturare nel recinto di una necessità religiosa il riscatto di molte disperanti certezze del mondo laico. Quelle che identificano la produzione finalizzata al consumo come civiltà. E ne misurano la crescita in termini di ricchezza per gli individui. Senza mai provare a misurarne la felicità.
Edvige Lonero e Luigi Gargaglia hanno provato a trasgredire questa logica dominante per mutare il loro rifiuto di vivere secondo i canoni dominanti di questa società nell’armonia di un’esistenza immersa tra le colline e gli alberi. Ritrovando nel silenzio della natura la voce di un’ispirazione artistica profonda e autentica.
La mostra delle loro opere organizzata ora presso il Mitreo Arte Contemporanea vuole dimostrare la possibilità d’essere di una vita lontano da tutto ciò che troppo spesso ci viene mostrato come indispensabile, con l’identico anelito spirituale di due linguaggi artistici che, come quelli di Luigi ed Edvige, sembrano tanto differenti.
La produzione artistica di Edvige è infatti un discorso con il quale ha continuamente parlato del male d’esistere per trasformarlo nella melodia di un canto. Dell’esistere di tutte le esistenze, non solo della sua. Con il coraggio di un’artista che vuole intrecciare la sua vita al senso profondo di quella degli altri, sapendo di non potersi porre come modello. La sua arte è certo infatti filosofica, ma al tempo stesso ingenua, intellettualisticamente raffinata e insieme spontanea. Fatta con oggetti senza valore e del gesto prezioso di chi, raccogliendoli, ha cercato il valore dei suoi giorni, scoprendovi quello dei giorni di tutti. Quello rimasto fuori dalla vita programmata che deve impiegare il tempo per non scoprirvi l’assenza di valore.
Le immagini della sapiente pittura di Luigi sembrano invece essere molto distanti dall’umiltà dei relitti recuperati negli assemblaggi da Edvige. Ma in realtà sono icone che raffigurano la vita che si cela dietro l’apparire consueto di ogni vita. Vicine quindi a quel mistero nascosto in ogni essere che gli oggetti delle opere di Edvige ci svelano.
Anche La pittura di Luigi procede quindi lungo il confine che separa l’apparire comune dall’essere. Ma, come quella di Edvige, non lo fa in maniera programmatica, e non ha nessun fine d’esplorazione, perché nessuna pittura è meno “contenutistica” della sua. Anche se nessuna pittura, più della sua, rivela la possibilità d’essere delle persone e delle cose del mondo in modo più sbalorditivo.
Infatti tutta la minuziosa figurazione dei dipinti di Luigi Gargaglia è realizzata in una stesura sottile che la racchiude in forme nitide e taglienti strappate a qualsiasi realismo. Per questo le presenze che abitano lo spazio della tela nei suoi quadri sembrano essere state trasportate in un luogo al riparo dal peso ingombrante del loro esistere nel mondo, dove possono rinascere a quell’essere del pensiero che è l’arte, divenendo appunto “figure”.
Luigi ed Edvige non vivono più ora nel loro casale in Umbria, perché non abitano più in questo mondo ma solo nella luce della loro Arte.
Ma nelle opere esposte in mostra ogni visitatore può ritrovare, come hanno fatto loro, lo spazio di una sua dimensione esistenziale dove arte e vita si incontrano nella quiete di una riflessione interiore. Nella quale poter ascoltare in silenzio la voce della propria anima.
Licia Sdruscia