Alchemiche reliquie
Marzia Corteggiani ha grande familiarità con i poeti e spesso ama guardare attraverso le loro pupille, sono tanti i suoi poeti preferiti, ma è la poesia del suo stesso sangue, la poesia di Lucia la sorella gemella, ad accompagnarla passo dopo passo. Il desiderio che è all’origine di questo lavoro è dunque radicato profondamente nella sua storia, nel suo corpo.
Sono 51 occhi di poeti i protagonisti della mostra che, ad una prima lettura, si presenta come un lavoro sul guardare, ma non sono occhi voyeur al contrario gli occhi dei poeti sono pura veggenza e spalancano le porte sul mistero.
Le immagini che li mostrano per sineddoche evocano gli ex voto con cui ci si rivolge ai Santi, martiri quasi tutti. Il titolo della mostra “Un’estasi che somiglia troppo al pianto” è come l’incipit di un racconto. L’estasi è prerogativa dei Beati, apre gli orizzonti dello Spirito verso esperienze mistiche, pone in contatto con ciò che pur invisibile prelude a un incontro ravvicinato col divino. In questo caso però l’estasi non coincide con una paradisiaca contemplazione, una lacrima esce dall’orbita, ma non ha il tempo di colare perché diventa madreperla. Un miracolo, una magia oppure la prova tangibile del potenziale metamorfico insito negli occhi del poeta. Nel pianto dei poeti Marzia ritrova il suo stesso pianto. Quest’opera è nata forse come pratica di risanamento, elaborazione di un lutto, trasformazione di un dolore: il dolore dell’assenza e della perdita. Forse. Impossibile racchiudere il lavoro di un’artista in un’unica interpretazione. Si può solo constatare che le lacrime di madreperla, figlie di una misteriosa metamorfosi, inducono un catartico spaesamento.
Marzia ha prelevato gli occhi da riproduzioni dei protagonisti, li ha fotografati, stampati su plexiglas e ritoccati con una lacrima di madreperla, per poi rinchiudere il tutto in una teca trasparente di cm. 10x10.
L’oggetto appare come una reliquia alchemica. L’occhio non solo sembra vivo, ma capace di azioni e reazioni. L’allestimento ne aumenta la potenza suggestiva, le mensole di plexiglass su cui le teche sono poggiate sono trasparenti e staccate dalla parete, sì da far apparire gli occhi sospesi nel vuoto in un dialogo tra presenti e assenti. Lo spazio uterino del Lavatoio Contumaciale si carica di energie, la mostra diventa lo spazio sacro per la celebrazione di un rito.
Gli spettatori aggirandosi tra le teche guardano negli occhi i poeti i cui occhi sono fissi su un oggetto collocato di fronte a loro. Sembra un mezzo per misurare il tempo, lo spazio, l’ordine e il disordine. Facile chiamarla scultura, la costruzione appartiene ad un altro ordine del fare e del pensare, è uno strumento di autocritica e rifondazione, una macchina per rivedere e ripensare il mondo o se stessi e la propria maniera di fare arte o essere artista. I poeti lo stanno guardando con fissità, come a voler indicare in quell’oggetto quasi una pietra filosofale.
La struttura è un lavoro realizzato da Marzia Corteggiani nel 2001 e s’intitola “Un peso al cuore”. L’opera di 2 metri e 40 è composta da due parallelepipedi sovrapposti, quello inferiore è in vetro e sostiene quello superiore disegnato solo dai bordi in acciaio, al centro un filo a piombo di vetro soffiato pieno d’acqua è sospeso nel vuoto. L’acqua, il vetro, l’acciaio, le geometrie, ogni dettaglio, si caricano di significati, evidenti sono le allusioni alla vita nel suo divenire, all’oscillazione perpetua tra moto e stasi, pieno e vuoto. Ma perché Marzia ha voluto mostrare un suo lavoro di 23 anni prima? Che cosa quell’opera ha rappresentato nel suo percorso di ricerca? Ho girato la domanda all’artista che ha risposto così:
“La compresenza degli opposti. Forse. Forse la ricerca di un’unità realizzata attraverso la conciliazione dei contrari, una coincidenza degli opposti la cui essenza può essere afferrata solo simbolicamente come “coniunctio solis et lunae”. Maschile e femminile. Pensiero ed eros. Conscio e inconscio. Processi psichici inconciliabili compresenti in un equilibrio dinamico, composti in questa struttura, metafora del superamento del contrasto proprio con la sintesi dell’operare simbolico. Ovvero un’unità trascendente: Umano e divino... quel vuoto al centro del parallelepipedo superiore occupato da uno straordinario filo a piombo, con il cono di vetro soffiato pieno d’acqua che, sospeso per l’estremità libera del sottile cavo d’acciaio che lo sostiene, si dispone lungo la verticale sotto l’effetto della forza di gravità. Traguardando il filo con l’oggetto da mettere “a piombo” se ne può verificare la verticalità ed eventualmente correggerne l’inclinazione. Un progetto di vita, dunque. Forse.”
Marzia Corteggiani negli anni Settanta inizia la sua ricerca artistica in ambito concettuale e la porta avanti nei decenni successivi con le sue fotografie sullo spazio aleatorio creato dalla luce e quello costruito da strutture modulari componibili.
Ma, tornando a “Un peso al cuore” la cosa che inquieta è come i poeti guardano l’oggetto. Cosa vi scorgono? Il rito è appena iniziato, la mostra è solo al primo stadio, il tragitto è tutto ancora da compiere, la fecondazione creatrice dei partecipanti è al suo stato embrionale.
Per tutto il tempo in cui la mostra sarà allestita qualche risposta potranno darla i poeti stessi con le loro parole dette e scritte, perché la loro voce venga ascoltata di nuovo e ancora di nuovo, perché possano ritornare ad essere maestri di vita e agenti di metamorfosi. Nel corso dell’esposizione le loro parole saranno oggetto di letture collettive per guardare il mondo con i loro occhi e rinsavire imparando a sognare e desiderare.
Anna D’Elia