Open Studio Saverio Feligini

“Violenza del volto. Espressività, alterità, verità nell’epoca del controllo biometrico del viso e della maschera” - Open Studio di Caterina Pini e Saverio Feligini con riflessioni critiche di Francesca Palazzi Arduini (dadaknorr.it)

“Ho sempre descritto il volto del prossimo come portatore di un ordine, che impone all’io nei confronti dell’altro una responsabilità gratuita – e inalienabile, come se l’io fosse eletto ed unico – e dove l’altro uomo è assolutamente altro, cioè ancora incomparabile e, così, unico. Ma gli uomini che mi circondano sono tanti! Onde il problema: chi è il mio prossimo?” (Emmanuel Levinas, Violenza del volto, 1985)

 -Le domande “Chi è il mio prossimo? e “Chi sono io?” sono molto spesso al centro della ricerca artistica di due artisti puri e complementari, Caterina Pini e Saverio Feligini. Caterina e Saverio condividono nel loro atelier romano anche un lavoro sul volto umano e disumano.

 -Tra le tante forme oggetto del lavoro dei due artisti, quello del volto umano nella sua espressività, e disumano nella sua artificiosità, è infatti uno dei percorsi principali, un iter di ricerca che eredita dall’arte contemporanea le suggestioni più ardite.

-Se, come scriveva Levinas, il volto umano pone con violenza, intesa come proposta ineludibile, la realtà dell’essere Altro, quella che potrebbe essere franchezza -anche ingenuamente- come sappiamo è invece lo spazio della maschera, del personaggio, cioè della persona.

 -Mimando le espressioni del volto dei propri simili l’essere umano sin dai suoi primi mesi di vita impara la maschera, che è, nella sua semplicità, la comunicazione degli stati d’animo nella relazione sociale, al di là di quella istantanea e non mediata, sino a quel momento, delle emozioni.

 -La società insegna nei modi più disparati a mettere in scena il personaggio del “chi sono”, mediando anche le espressioni del volto verso una costruzione di maschera (e di corazza caratteriale) che ci protegge dalle incursioni predatorie dell’Altro, che recita anche per noi stessi, allo specchio, una versione dell’Io accettabile.

-Caterina Pini, nei suoi volti scarabocchiati a più colori, racconta le impressioni fuggevoli del “volto violento” dell’altro, fuggevoli come può essere una istantanea di ingresso alla metropolitana, coi suoi mille colori-emozione e le sue mille smorfie, pure nascoste sotto volti spesso pietrificati, fintamente imperturbabili.

 -Così l’artista, dietro la maschera filamentosa di un sorriso sì, ma sbilenco, di un muso allungato, o di un occhio spalancato, coglie ciò in cui non si può del tutto immergersi, pena lo spaesamento: l’emozione dell’Altro.

 -Il lavoro di Caterina Pini riprende dall’arte del Novecento una visione che è non più ricerca della riproduzione della persona perfetta nel suo equilibrio con natura e cultura ma che, dalla scomposizione cubista alla liquefazione baconiana, mette in crisi la maschera. Dai colori e sapienti garbugli pieni di energia dei volti disegnati da Pini occorre farsi coinvolgere emotivamente.

 -Saverio Feligini, collagista, fa un’ operazione del tutto differente e complementare a quella di Pini: i suoi volti eleganti ambientati in atmosfere costruite con carta patinata vanno guardati con la consapevolezza che si sta vedendo una ironica operazione di renversement, perché sono i ritagli delle riviste che ci dicono come vestire, come guardare, come atteggiarci (Feligini scrive “come essere adeguati”) che creano questi personaggi muti.

-Così Feligini costruisce scenografie metropolitane o scenari classici, grandi trittici o piccoli riquadri, nei quali abitano figure misteriose, che ci ricordano volti velati o schermati magrittiani o la classicità di un De Chirico.

 -L’ambizione di Feligini non è solo quella di fare luce sui fantocci della falsità dei personaggi ma di dare a questo blob a due dimensioni una dignità come se queste “tele” potessero essere esposte in nuovi tabernacoli. La critica alla società dell’apparenza include così anche quella palese sull’arte come celebrazione di status o di se stessa.

 -Non è un caso che i lavori di Pini e Feligini nei loro portfolio e nelle esposizioni manchino spesso totalmente di cornici, la finalità è essere opere finite come tali, non importa di quale dimensione. Di certo un tratto che accomuna i due artisti è la ricerca di un equilibrio lontano dal compiacimento iconoclasta e molto vicino invece al gioco.

 -La nostra società, complessa e offerente una miriade di “connessioni” con gli altri, si perde nel dubbio di non conoscerli affatto, questi volti sconosciuti, questa massa di visi e di espressioni mediatizzate: “chi è il mio prossimo?” scrive il Levinas, “chissà chi è?” chiede la nota trasmissione della Tv in chiaro…Feligini e Pini si collocano tra quegli artisti che cercano un’ autenticità nella maschera.

 -Ed è proprio oggi, ormai a molta distanza dalla descrizione del cittadino Parresiasta, franco e schietto, che non teme di dire la verità, descritto da Platone, omaggiato in Socrate, rievocato da Foucault, che la ricerca della verità nell’Altro di Pini e Feligini torna un tema caldo non solo nella politica di massa (da sempre schiava della propaganda), nei social media, ma nelle strade e nelle piazze delle nostre città, con il riconoscimento biometrico dei volti.

 -Il “riconoscere” l’Altro diviene, nella società dotata di strumenti di intelligenza artificiale, il riconoscerlo a fini di studio comportamentale e polizia, perché i cosiddetti “tratti somatici” e le emozioni sono computabili e riconoscibili. Si passa allora dagli scenari umani ed empatici dei due artisti a scenari distopici nei quali l’espressione del volto non va solo corretta e truccata, enfatizzata e usata per attirare l’attenzione altrui a scopo commerciale o manipolativo, …ma totalmente nascosta.

 -Allora i volti cangianti di Pini, e gli ovali metafisici di Feligini, diventano una via di fuga da una realtà nella quale nessuno può permettersi espressioni non calcolate, non preventivate, non adatte alle circostanze, col timore di esser ripresi da mille occhi digitali, che siano nei nostri polimorfi cellulari, in alto sui pali o dentro un paio di occhiali.                                                                                                                           Francesca Palazzi Arduini (dadaknorr.it)

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