FAGHAN Figlie dell'Afghanistan

di Simona Ghizzoni a cura di Zona

*Faghan

Figlie dell’Afghanistan

 

 

Il 15 agosto 2021 i talebani riconquistano l’Afghanistan dopo vent’anni di presenza militare occidentale, instaurando di nuovo una dittatura di stampo religioso. Il Paese sprofonda in un caos di violenze, povertà estrema, violazioni dei diritti umani. I talebani sanciscono un’apartheid di genere che segrega le donne tra le mura domestiche, vietando loro di studiare oltre i 12 anni, lavorare fuori casa, frequentare palestre, parchi, saloni di bellezza. In pubblico, alle donne è proibito mostrare il volto, e persino far sentire la loro voce.

Per le afghane, l’unica scelta è tra la morte sociale e la fuga all’estero.

Le 19 donne protagoniste di questa mostra sono riuscite a scappare e oggi vivono in Italia da rifugiate. Le loro storie ci restituiscono esistenze dinamiche e ricche di progetti, prima che i talebani tornassero al potere: studentesse universitarie, operatrici umanitarie, guide turistiche, campionesse sportive, attiviste per i diritti delle donne… Fino alla fuga angosciosa, nei giorni convulsi del 2021 in cui guardavano i loro sogni sgretolarsi, forzate ad abbandonare una terra che, nonostante tutto, continuano ad amare con profonda nostalgia.

Queste 19 protagoniste sono state coinvolte da Nove Onlus in un progetto sulla riappropriazione della loro identità, ispirato alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea; in un cortometraggio che, con interviste e video esclusivi della presa di Kabul nel 2021, approfondisce le storie di 5 di loro; e in questa mostra, i cui ritratti posati esprimono la ritrovata libertà di esibire la loro bellezza. Una bellezza che non è semplice vanità, bensì possibilità concreta di esistere.

In Afghanistan, con la presa del potere da parte dei talebani, già a partire dal 1996 le donne sono scomparse dalla vita pubblica e, di conseguenza, anche dalle fotografie. L’assenza di figure femminili negli archivi fotografici riferisce con drammatica evidenza una condizione di segregazione, che significa esclusione dalla storia. La bellezza dei ritratti in mostra rivela dunque una reazione alla violenza subìta, grazie alla libertà di invitare lo sguardo altrui a posarsi nuovamente sui loro volti.

Nel fotografare queste donne, Simona Ghizzoni ha immaginato di restituire loro la possibilità, per anni esclusivamente maschile, di entrare in uno studio fotografico per il puro piacere di farsi ritrarre: le donne si sono truccate, vestite e pettinate in autonomia, come solevano fare prima della censura talebana, per offrire all’obiettivo la loro rappresentazione più autentica. E opporsi con orgoglio al regime che ha tentato di annullarle, costringendole a scegliere tra la vita nel Paese natìo e la riappropriazione dei loro diritti fondamentali.

Questi sguardi e queste testimonianze parlano a nome di tutte le donne afghane. Proponendo infine una riflessione, empatica e universale, sulla condizione di tutti i rifugiati.

                                                                                                         Emanuela Zuccalà

 

*In lingua dari, “faghan” è un gemito, un pianto di dolore. Da un verso di Figlia dell’Afghanistan della poetessa Nadia Anjuman (1980-2005), picchiata a morte dal marito che non tollerava la sua indipendenza di donna e di intellettuale affermata

Credit:

Fotografie di Simona Ghizzoni

Testi e video di Emanuela Zuccalà

A Cura di Giulia Tornari

 

La mostra è parte del progetto "I nostri diritti: dalla negazione all'acquisizione dei diritti per le donne afghane" realizzato da Nove Caring Humans e Zona.

 

Progetto finanziato da ActionAid International Italia E.T.S e Fondazione Realizza il Cambiamento nell’ambito del progetto “The CARE - Civil Actors for Rights and Empowerment” cofinanziato dall’Unione Europea.

 

Officine fotografiche, via G.Libetta,1 Roma

18 ottobre ore 18.30 inaugurazione

19 ottobre – 16 novembre

Organizzatori

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