Corpo Vitreo

Progetto Visual

Le matrici teoriche da cui parte Corpo Vitreo, dei fratelli Francesco e Andrea Segreto, si concentrano su due principali concetti, il voyeurismo e l’attrazione. 

Il primo non rimanda al disturbo patologico, bensì alla condizione degli spettatori di fronte ad una realtà irraggiungibile e non influenzabile.

Il video, lingua dell’irraggiungibile per eccellenza, è il medium attraverso il quale verrà espletata questa realtà, che trova, attraverso il secondo termine della formula il suo spazio, l’attrazione. 

“Essere attratto non significa essere invitato dall'attrattiva dell'esteriore, significa piuttosto sperimentare, nel vuoto e nella messa a nudo, la presenza del fuori[…] L’attrazione non ha nulla da offrire se non il vuoto che si apre indefinitamente sotto i passi di colui che è attratto…”

L’attrazione è da considerarsi come una condizione altra dal quotidiano, condizione che pone il suo focus sullo spettatore, il suo sguardo e la sua sensibilità. Come si accede dunque allo stato emotivo? Può l’attrazione  paragonarsi ad un rito di passaggio, degenerazione controllata della condizione quotidiana, con l’intento di ristabilire un’equilibrio rinnovato? Lo spettatore è disposto ad abbandonarsi all’ignoto?

Ecco che Spazio Hangar diventa una gabbia, una voliera di vetro in cui si osservano le reazioni umane legate ai sentimenti quali l’affezione, l’attrazione e la misura dell’ignoto.

Vita autonoma, arida e oggettiva, così appaiono le proiezioni speculari fulcro dell’istallazione. La prima propone di catturare la vita di due entità rinchiuse in una stanza, la seconda riprende lo stesso materiale della prima proiezione ma inserisce delle rotture, brutalizzazioni di alcuni elementi della scena per spezzare e arrivare a suggerire delle reazioni in chi guarda.

Nella sua tentata fuga lo spettatore si accorgerà di un elemento essenziale che campeggia al centro delle due finestre che ospitano le proiezioni, una porta. Elemento essenziale che richiama ad una decisione finale: varcare la soglia verso l’ignoto attraverso una possibile via di uscita , oppure mantenere la propria condizione, condizione assimilabile alla telecamera di sorveglianza sempre uguale a se stessa, in un non sguardo.

 

Lo spettatore è lasciato libero di vagare e di esplorare il cortile e le due proiezioni. La sola cosa che si chiede è quella di instillare una sensazione, non apparentemente dichiarata, che non può fuggire da quelle visioni e da quello spazio. Costringere dunque il visitatore alla sua condizione di voyeur.

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