TESTO CRITICO SOTTOTRACCIA A cura di Monica Pirone “L’arte non è mai un atto solitario: anche il gesto più personale ha bisogno dell’altro per esistere.” Jean-Luc Godard Un gruppo d’artisti non è una somma di individualità, ma un unico respiro che si moltiplica nelle differenze e il dialogo tra artisti non annulla le voci, le amplifica: nell’insieme nasce una coralità che nessuno, da solo, potrebbe comporre. Il titolo di questa mostra, Sottotraccia, è quanto mai significativo: in un’epoca urlata, pervasa da opinioni contrastanti e priva di dialogo, queste piccole opere dimostrano come le differenze possano coesistere, conversando da parete a parete e sussurrandosi emozioni. Emozioni che, più che descrivere panorami, ci restituiscono una mappa geografica interiore della nostra anima. Le differenze sono la nostra ricchezza: queste connessioni interiori siamo noi, con le nostre timidezze, con il nostro difficile rapporto con la natura, con la malinconia del quotidiano, con la nostra capacità di inventare modi per esprimere tali emozioni, sperimentando tecniche che ci permettono di recuperare quel moto dell’anima che ci rende umani. Il collettivo lascia dunque il posto a un gruppo di amici, allontanandosi da rigide classificazioni dell’arte e portando quel sentimento che, al di là dell’arte, ci unisce pur percorrendo strade differenti. Sebbene ciascuno sia “altro” rispetto all’altro, e pur restando protagonista, possiamo essere un coro: parlare lingue diverse, ma comprenderci. Nelle due opere di Francesco Campese il volume si abbassa: una finestra socchiusa ci invita a rimanere sulla soglia, in un tempo sospeso tra reale e irreale. Un sogno prolungato ci costringe a procedere lentamente, a sentire il nostro respiro. In questa sospensione riusciamo a percepire il battito del cuore, a riconoscere le nostre emozioni. Nelle opere di Eleonora Cutini, il viaggio dentro di noi diventa memoria che, attraverso la percezione del sé, crea la connessione tra pensiero e mondo onirico. È una battuta d’arresto o un vero viaggio che può riconnetterci con il senso autentico delle cose? Il lavoro di Silva Iampietro crea solchi, tracce, chiaroscuri continui, linee che diventano testimonianza: una pittura generosa che suscita emozioni e che, nel tratto stesso, racconta — al di là del soggetto — una mappa delle nostre orme e della nostra presenza. Una pittura copiosa che non esita a donarci segni e che ci rimanda al passato per restare ancorati all’oggi. Nelle opere di Guglielmo Mattei siamo testimoni di un mondo che solo in apparenza rappresenta la realtà. Negli scorci urbani assistiamo all’abbandono dell’essere umano da luoghi in cui tutto era, e forse ora non è più. In atmosfere post-industrial ci racconta di uno sconfinamento che, più che fisico, diventa metafisico: dove al colonnato classico Mattei sostituisce una pompa di benzina o il parcheggio di un centro commerciale. E, anche se splende il sole, sentiamo imminente l’ora di un crepuscolo che avvolge ogni cosa. Nelle atmosfere di Elisa Selli è la calura a destabilizzarci: ci priva delle forze, ci costringe a coabitare con una natura che, per quanto rigogliosa, porta in sé la debolezza dell’essere. La flora, protagonista assoluta, ha la forza che contraddistingue la natura, ma vive racchiusa in serre dove, osservando, percepiamo l’umidità e la conseguente fatica di muoversi e pensare. Un’afa che appare più esistenziale che fisica. Marialuna Storti utilizza la carta e la rappresenta nelle sue diverse fasi. Interagendo con la materia, lascia molto alla natura delle cose, permettendo che l’autonomia della materia stessa delinei i confini e metta in scena le nostre fragilità. L’opera si autorappresenta e vive al di là dell’artista, compiendo un percorso sotto la guida della Storti che dosa con misura il proprio intervento: con delicatezza manipola, tenendo tra le dita — senza stringere, per non soffocare — gli elementi che diventano il materiale sensibile della nostra storia. Emanuele Moretti stende campiture di colore che appaiono più come ingrandimenti di micromondi sentimentali che come veri e propri astratti. Ci mostra un mondo da svelare, da scoprire, e ci sembra di ritrovare la chiarezza di ciò che credevamo fosse solo impressione. Come se Moretti ci fornisse una grande lente e ci accompagnasse nell’analisi delle cose, spingendoci a soffermarci su dettagli che, forse, avevamo osservato distrattamente. Un piccolo mondo che, da dettaglio, può diventare il vero senso della nostra vita. Con Filippo Saccà ci troviamo di fronte a una linea di confine che va assolutamente scavalcata. Le sue opere sono un invito a oltrepassare, a guardare oltre. Le linee tratteggiate di ipotetici confini fisici sono deboli: portano in testa frecce che indicano direzioni, ma allo sguardo dello spettatore non resta che lasciarsi andare su scenari che rappresentano un viaggio interiore, un’esplorazione di sé nella moltitudine di espressioni che la vita ci riserva. Una ricerca del sé che ci accomuna e che, attraverso la scoperta, ci fa sperare in una fragile umanità in continua ricerca di se stessa. Il titolo Sottotraccia risulta infine centrato sulla necessità di tutti i partecipanti di riconnessione con quello strato più profondo che è il vero senso delle cose e che in questi tempi di guerra, riporta al centro ciò che forse stiamo pericolosamente smarrendo. Il filo di Arianna di questa delicata mostra ci conduce verso la conoscenza. I lavori esposti, nella loro piccola dimensione, narrano di noi: delle nostre fragilità, del pudore dell’esistere, della timidezza e di tutto ciò che ci rende malinconici e assorti esploratori delle nostre anime fragili.
Roma, 10 ottobre 2025
Monica Pirone