Sotto le alte volte della stamperia di Luigi Ferranti, in via Arco del Monte 99 A, l'unico laboratorio storico di arte incisoria ancora attivo a Roma, è nato un bosco!
Sono le immagini incise e stampate che compongono la cartella 'A L B E R I'. Qui l'albero è simbolo e metafora di processi vitali che ognuno degli artisti ha meditato e trasportato nelle proprie opere. Otto carte, realizzate con tecniche antiche e moderne, xilografia, acquaforte, fotolito con acquatinta, ceramolle.
Insieme, alludono, attraverso segni e parole, a quelle strutture naturali dentro e fuori di noi che hanno radici profonde nel nostro inconscio (anche collettivo), un fusto spesso o flessibile che si innalza e trasporta linfe e nutrimenti verso rami/braccia aperte alla luce e al mondo, ricettive e fruscianti di foglie, fiori e frutti dalle mille forme, luogo di nidi, di balzi e di canti e molto altro ancora.
Per Eclario Baronela xilografia, con l'uso di sgorbie affilate che lasciano i solchi del bianco, è entrare in contatto con la millenaria lavorazione del legno dell'artigiano e dello scultore che degli alberi hanno fatto utensili e dei. I suoi alberi diventano bosco inestricabile colto nel freddo e nel caldo delle stagioni o segnato da comportamenti umani non sempre corretti. Per Luigi Caflischl'albero è la Natura che incontra il Mito, il genius lociche s'incarna in ninfe e spiriti sottili che fanno parte del retaggio culturale classico ma senza il filtro accademico della staticità formale. Il suo è un panteismo felice fatto d'incontri sovrumani nella semplicità apparente dell'acquaforte che, nella resa delle sue lastre, si manifesta come acqua che scorre e gorgoglia o vento che agita nuvole e rami. Silvia Guidi, con parole/foglie, è sintonizzata su ritmi e assonanze sinestetiche che insieme rivelano 'la voce degli alberi'. La ceramolle trattiene l'inchiostro verde dei versi per tracciare calligrafie euritmiche, programma di sala per cantori piumati. Le fotolito di Paolo Porelli, infine, quasi fotogrammi conseguenti dell'inutile rincorsa di un dio, stratificano immagini di dei e foglie. Dafne ormai non è più neanche un arbusto ma coglie la sua vittoria inglobando il suo inseguitore fondendosi-con la forma apollinea. Il suo è quasi un presagio, il grido muto di un mondo naturale che riafferma con forza le proprie ragioni ribaltando usurpate prospettive antropocentriche. Nella penombra dell'antica stamperia le opere, piccola costellazione, si rilanciano sottili filamenti di senso e contemporaneamente dialogano con lo spazio di Luigi Ferranti, con le macchine da stampa, con le carte di Vespignani, di Sughi, di Attardi, veri numi tutelari, alberi possenti dalle profonde radici e dalle grandi chiome.
Eclario Barone 2021