Alfredo Troise il Vesuviano in dialogo con Pulcinella

a cura di Giuseppe Ussani d'Escobar

Alfredo Troise

il Vesuviano in dialogo con Pulcinella

 

Alfredo Troise non poteva far altro che nascere alle pendici del Vesuvio, nella meravigliosa Napoli spagnola e greca, misteriosa e barocca, che tanti viaggiatori illustri e sconosciuti hanno descritto, essendosene innamorati. Essere vesuviani vuol dire partecipare della natura imprevedibile del famoso vulcano che sovrasta e signoreggia il golfo quale sovrano assoluto: la mimica, la gestualità e la frase ad effetto sono l’essenza di Napoli e ben lo dimostra l’icona per eccellenza della Commedia dell’Arte: Pulcinella; egli è effervescènte, in continua eruzione, con momenti di pausa e malinconia, comunque passeggeri, esattamente come il Troise che incarna la famosa maschera napoletana, anch’egli detentore e custode di verità accessibili a pochi eletti che a lui sanno avvicinarsi, consapevoli di una sensibilità ed empatia naturale destinata a schiudersi e a emergere come un fiore dalle ceneri fertili del Vesuvio. Al Vesuvio è utile e necessario avvicinarsi con cautela e rispetto, altrimenti si rischia di esserne travolti.

Così nascono le “Città sospese” levitanti e aeree, oscillanti barche di pescatori sulle acque del golfo, che altro non è che un cratere spento;  una dimensione urbana che vive di tremori e terremoti esteriori e interiori, sopravvivendo a millenni di storia, attraversando l’acqua e il fuoco, ruggendo e fischiando nelle sue vie e vicoli come il gigante Vesuvio. Ovunque si scorgono gli “Occhi” di Alfredo testimoni coraggiosi e scherzosi di un apocalisse in divenire, occhi rotondi, tanto caratteristici anche di Pulcinella, occhi che scrutano, indagatori, sornioni, scrigni di verità occultate e chiuse sotto chiave, che affiorano dovunque, con l’energia incontenibile di lave vulcaniche destinate ad aprire nuove bocche di fuoco nei fianchi e nel fronte di una città che non finisce mai di esplodere, di regnare nell’utopia del sogno mai costretto ma scatenante e scatenato. Emozioni partorite da una fantasia onirica e surreale posseduta da un novello Sileno saggio e veggente. Troise ben può essere definito il surrealista che dona un’immagine e una voce profonda a Napoli, grazie alla sua identità schietta e pura, senza fronzoli, potente ed elettrica nel suo dinamismo di colori che generano istintivamente murali infiniti, gemme che sbocciano da uno stesso albero, nel gorgoglio incessante della natura, dal cosiddetto “Albero della Verità” tanto caro anche a Pulcinella che prova in tutti i modi a custodirlo, a proteggerlo, affinché questo non si secchi e non si fermi nel suo nutrimento e nella sua evoluzione di libere idee, bloccato dal conformismo e dal dogma della banalizzazione della vita e della cultura che oggi si rivela sempre più dominante e schiacciante.

I “Monotipi” del Troise sono composizioni armoniche che si articolano e si diffondono in fughe e in adagi, nelle variazioni sul tema, rappresentano una cascata di colori che invade figure e strutture vivificandole, sono esseri umani che in verità raffigurano personaggi della Commedia dell’Arte e del dramma che il regista-artista mette in scena senza pregiudizi, scommettendo sulla provocazione; le sue sono creature mitiche che eruttano dalla terra e dal mare e che ben si possono definire prodigi della natura “vesuviana” che prospera e fruttifica, con la stessa abbondanza della cornucopia, dalle ceneri di un mondo desertificato e bruciato che costantemente risorge, esorcizzando l’incubo della morte. Il napoletano da sempre beffeggia la morte, si trattiene in amichevole e rispettosa conversazione con lei e a volte quando perde la pazienza finisce per bastonarla.

L’occhio per Troise è visionario, in esso confluisce l’universo intero e di conseguenza è possibile penetrarne il suo mistero, decodificandone, interpretandone e annotandone le infinite varianti. L’occhio è lo specchio che riflette il nostro io interiore, riconsegnandocelo, nel tentativo di restituire e ridare vigore alla nostra armonia con l’ambiente che ci circonda. Alfredo Troise come Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren, 1972) non guarda ma osserva, approfondisce l’enigma nel quale siamo immersi, finge di smarrirsi e di andare alla deriva nel caleidoscopico labirinto della mente che egli, in realtà, controlla, sovverte e ribalta con lo scopo di poterlo analizzare in tutti i suoi meandri, movimenti, vibrazioni e reazioni.

Troise è ispirato nelle sue azioni creative da uno spirito sovversivo ed è a tutti gli effetti un autentico rivoluzionario della realtà, egli ben si integra nella famiglia degli “abitanti della luna” fraternizzando con Pulcinella, legandosi così a quell’amore cosmico che rende gli uomini sognatori e migliori, partecipi di segreti ai quali non tutti possono accedere. Troise abitante dei territori della fantasia, esploratore-filosofo ironico e acuto della realtà e degli uomini. Alfredo come Sileno maestro di Dioniso, dio del vino e del teatro, anch’egli teatrante di una mimica esplosiva che diventa irriverente e dissacrante provocazione del demone della tragedia, invitandoci alla riflessione e all’introspezione con l’alto fine di guarire dalla confusione incerta della società contemporanea.

 

Giuseppe Ussani d’Escobar

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