L’oggettività concettuale di Stefano Compagnucci
Una continua ed ossessiva ricerca dell’inenarrabile che attraversa l’anima di un luogo, di una persona, di un oggetto tramite uno sguardo oggettivo.
La severità estetica e concettuale dei coniugi Becher e di tutta la scuola di Dusserdolf, sono alla base della mia ricerca artistica, costante e libera dai canoni estetici.
Una visione intrinseca che esplora e approfondisce il linguaggio iconografico che sfrutta il surrealismo visivo, donando all’osservatore una nota di incertezza e ricerca dell’essere.
Esploro mondi dell’immagine, mettendo quasi sempre da parte il gesto fotografico, come nella serie di mie opere “La casa degli angeli” realizzate interamente prendendo in “prestito” i soggetti, precedentemente fotografati, amatoriali e ignari di far parte di un processo artistico e concettuale; immagini plastiche, movimenti limitati all’essenziale, forme semplici, scene ambientate in interni saturi di colori elementari. Nascono forme geometriche intese come spazio, infinito e universo solo con l’ausilio di carta e forbici. Lo stesso concetto di infinito ed universo lo trovo nella spiritualità delle opere “Bomborì a bassa frequenza”, immagini intransigenti e spudoratamente oggettive di persone che rappresentano inconsciamente una presenza oscura nell’essere. Solo ago e filo e tutte le simbologie ad esse collegate.
L’ago e filo rappresentano anche la soggettività nell’oggettività delle mie opere
“ Fabbrica Costruttivista” eternamente illusive ed irreali, poiché nessun luogo protagonista delle immagini esiste realmente. Un’immagine ben precisa incastonata nella mia mente. Rigidamente frontali e nudi per l’osservatore, attraverso l’impiego di grandi formati, e l’uso della rielaborazione digitale, i soggetti vengono circondati e immersi in colori e simbologie forti, il filo passa da un lato all’altro, l’ago crea delle fenditure che non infrangono ma armonizzano.
Uno sguardo che esplora il confine tra soggettività, oggettività e spiritualità.