Ernest Pignon con il suo lavoro ha regalato alla città il frame finale dell'esistenza di Pier Paolo Pasolini, congelata lungo il suo ultimo cammino.
In questo andare il poeta interroga e richiama il passante attento, lo invita, lo provoca a relazionarsi con lui.
Non passa inosservato.
La reazione al suo essere lì è spesso violenta.
Provoca lacerazioni e, ugualmente, viene lacerato, strappato.
C'è chi lo vorrebbe eliminare.
Ma nel varco di queste lacerazioni vengono accolti coloro che con lui si relazionano, dialogano.
È in quel momento che un soggetto altro, spettatore discreto ma da sempre avido d'umanità, si ferma ad osservare e attendere l'avvenire di questi incontri inizialmente casuali.
Da questa visione nasce l'idea di causarne altri in cui i soggetti invitati, e provocati, diventano parte attiva di una performance improvvisata che trasforma per un attimo un angolo della città in palcoscenico vivente.