Sergio Vecia (Roma,1953). Ha iniziato ad usare la fotografia come strumento espressivo all’età di 15 anni, in seguito al ritrovamento fortuito di una macchina fotografica. Fotoreporter per circa tre anni a Roma, nel 1979 fonda lo studio Spazio Visivo insieme ad altri tre fotografi, specializzandosi in pubblicità, fotografia per i beni culturali, video e progetti multimediali. Tra i principali premi e progetti: realizzazione del Libro Exempla di poesia ed immagini insieme due autori; realizzazione del libro 20x13 Fotografia e Poesia; primo premio concorso cortometraggio Filmare con La Giostra; premio al Concorso Corti Filmare; primo premio al Concorso corti Roma 2009; finalista con il cortometraggio Indagine 345 al Concorso corti Roma; Collettiva fotografica Roma Euritmia; Premio al I°Premio Fotografia Genova Saturarte 2010; Collettiva Genova Il giallo 2010; Premio al Genova biennale d'arte 2011; terzo premio Fotografia Satuarte 2011; Finalista Spazio Ottagoni 2011; Finalista collettiva Art Prize 2011; Premio al Concorso Biblioteca Angelica Roma Oltre il Libro 2016. Mostra Semidei, Roma Galleria Il Laboratorio 2019- Orto Botanico di Viterbo 2019. Complesso della Ex Cartiera – Sala Nagasawa 2020 Via Appia Antica Roma. SEMIdei A cura di Roberta Melasecca,Orto botanico di Roma.
SEMIdei è una riflessione sul mondo imperscrutabile dei semi, simbolo di totalità, nascita, crescita e divenire. Sergio Vecia tende, con la suaricerca artistica, a recuperare un’unità con la parte primordiale dell’universo, con i cicli della terra e la capacità rigenerativa della vita, osservando ed indagando elementi piccoli, all’apparenza inerti e immobili ma che hanno sempre accompagnato l’uomo nel corso della storia. I semi sono l’inizio e la fonte di ogni vita, simbolo di crescita ed evoluzione genetica, espressione della diversità e della moltitudine, della natura e della cultura. Autentiche macchine del tempo biologico, in essi sono scolpite le tracce di millenni di adattamento naturale, variando dimensioni, architettura esterna ed interna, durezza e forma in base ai cambiamenti climatici e delle specie. Ma sono anche incarnazione della coltura che li ha forgiati, convergenza tra intelligenza umana e intelligenza naturale, organismi sofisticati che contengono passato e futuro: il seme proviene dalla pianta che non vedi più, e porta in sé quella che non vedi ancora, recita un detto indiano. Sergio Vecia rielabora le sue scoperte attraverso il mezzo fotografico: osserva con stupore, affascinato dalla misteriosa ed ineffabile presenza e dagli enigmi di forme quasi estranee ed aliene. Ne comprende l’immaginifica forza primaria ed elementare, racchiusa e cristallizzata, pronta, secondo un preciso piano accuratamente progettato, ad esplodere e svilupparsi. Dispone ogni seme, piccolo o grande, variamente irto di diversità, sotto il flusso continuo della luce: sospeso in una dimensione intermedia, ogni seme si svela, rivela le trame della sua complessità, mantenendo intatto e preservato il segreto della vita che scorre. Ogni scatto è un gioco di eterei bagliori che, nelle ombre, dichiarano esseri dormienti: pazientemente attendono mutamenti e passaggi, sospendono processi vitali o controllano i geni che li caratterizzano, solo perché affiori, immancabile, l’esistenza. Con necessità di sondare le infinite varietà, quasi come a rispondere ad una esigenza di catalogazione, Vecia indossa una lente invisibile, rivelando ai nostri sensi suoni e profumi, movimenti e cadenze, in una concertazione di danze ancora inespresse, fino a coincidere egli stesso come una parte del tutto.