Se la complessità fosse data da una serie di strati, allora avremmo un’immagine metaforica per avvicinarci al lavoro incisorio di Elisabetta Diamanti, poiché è la stratificazione delle osservazioni a produrre complessità, e, tramite essa, si assiepano i riferimenti simbolici, i segni fossili. Si produce così quell‘intreccio consanguineo e clorofillico tra materie, si assembla quell’unico corpo individuato da un medesimo afflato. Il procedimento iterativo, in cui ogni strato dell’immagine è come inglobato al successivo, tramite l’impiego delle diverse matrici, consente all’artista di modificare anche il progetto iniziale. Si intuisce di quale spessore sia il rapporto con la natura, in un’artista che non ha mai bisogno di partirsi dal dato culturale! Mai un rimando a quanto si sia già estratto dal contesto ambientale attraverso i secoli, ma la traccia, l’impronta del virgulto, della lamina con il suo profilo dentellato, del rinsecchito calice. Il gesto pretende la sua parte, spesso sottolineando la matericità dell’aria e il volume dello stelo con le sue infiorescenze, ma anche reclamando l’azione opposta a quella di apporre, che è il raschiare per mezzo della luce. I riflessi argentei sull’ultimo strato, pari a rifrangenze su una teca, sembrano affiorare contemporaneamente dalla superficie cartacea. Le stille lucorose, a tratti perlacee, che emanano dal fondo, sono opache, non lasciano intravedere nulla oltre di esse. È una luce materica!
Elisabetta Diamanti carica di accidenti la superficie, vi crea strati di ulteriori trasparenze, ove solo la ramificazione secondaria della pianta reca traccia di una struttura. Tali segni vanno a configurare un tracciato storico, una cartografia di eventi esistenziali minimi, ma non per questi trascurabili, in quanto l’intero cosmo è una ragnatela di tracce e reperti. Ciò evidenzia al contempo la forte interazione tra il processo calcografico e la scala cosmica, avente però le medesime regole del proprio fare artistico. Sul foglio, le impronte, le saettanti lamelle di argentea luce rappresa, l’intervento del caso che diviene necessità, il moto che le membrature, leggerissime e come denudate di materia, subiscono, il vento che trasporta e fa ruotare i più labili fuscelli, additano una ricerca in cui nulla è come appare. Se la materia è presa in una trasformazione incessante, la natura si rivela, però, solo quando vi è un artista che la osserva.
Rosa Pierno