L'Eros strappa il soggetto da sé stesso e lo volge verso l'Altro ...
Il narcisista sprofonda nell'ombra di sé, sino ad annegare in sé stesso ...
Byung-Chul Han "Eros in agonia"
Oggi viviamo in una società globale dove tutto è uguale e omologato, anche l'Eros, il desiderio vitale che da sempre ci muove alla scoperta dell'Altro e del mondo, non riesce più a manifestarsi.
Tutto diventa autoreferenziale: l'Ego prevale, cresce a dismisura ed è incessantemente preoccupato solo di ottenere consenso e approvazione.
In questo modo le persone si isolano sempre di più, pur essendo, nella realtà dei fatti, costantemente iper-connesse.
Questa dimensione genera un narcisismo diffuso dove ognuno riconosce solo sè stesso attraverso un rispecchiarsi continuo che conferma puntualmente il proprio ego. Come ritrovare questa energia vitale?
“È EROS?” la bipersonale con Marzia Gandini e Caterina Vitellozzi nell’atelier di Palazzo Taverna per Rome Art Week diventa una riflessione fra l’estetica dell’Artista e il pensiero del filosofo sudcoreano naturalizzato tedesco Byung-Chul Han, docente di Teoria della cultura alla Universität der Künste di Berlino.“È EROS?” diventa punto d’arrivo della ricerca di Marzia Gandini: catturare quei rari istanti in cui avviene lo scambio, l’interazione. Dal corpo enuclea quelle parti che si abbandonano al contatto. Non vi è interesse per la narrazione: la sua scultura non è eroica o simbolica, il soggetto non diventa modello di virtù ma presenza. La pittura cerca di depurare l’identità dalla confusione: le figure non sono sole perché disadattate, sono pulite da tutto quanto di transitorio possa turbare lo sguardo dell’Artista. L’emozione che più spontaneamente nasce davanti alle opere di Marzia Gandini è l’umana empatia per la fragilità propria e dell’altro: cercare un ponte di sguardi fra esseri sconosciuti - tre mondi così diversi come l’uomo, l’animale, la pianta - significa cercare altro dalla normalità iper-connnessa analizzata da Byung-Chul Han.“È EROS?” si chiede la mostra. Sicuramente sì, risponde Caterina Vitellozzi, è l’afflato che dovrebbe legarci in ogni momento all’evidente bellezza del nostro ambiente fisico. Guardare oltre la materialità delle cose, cercare la percezione che sconvolge, ingarbuglia, stupisce e infine libera il nostro sguardo assopito. Un sasso, ciottolo levigato dal fiume e dalle onde è fredda lontananza, quindi cielo, profondità, infinito. Il catrame è materia, informe e accogliente, l’oro un dolore che si raggruma in uno specchio di luce. Lo smalto e il vetro spezzato sono frammenti di emozioni, di calore o di freschezza. Il mondo si trasforma e splende nella mente: non è paesaggio ma fisica e sorprendente evocazione. Per Caterina Vitellozzi una delle possibili risposte ai timori espressi da Byung-Chul Han è la propria arte, fatta di materia, pluralità delle fonti, attenzione profonda per tutto ciò che è intrinseco e può essere portato alla luce, non per rappresentare ma per svelare il dono che ogni essere o cosa si porta dentro.
Massimiliamo Reggiani