remains of the world

installation project by Sergio Angeli

I RESTI DEL MONDO

Testo critico

di Monica Pirone

“ I could live a little better with the myths and the lies

I could live a little in a wider line

To lose control”

“Potrei vivere un po’ meglio con i miti e le bugie

Ho potuto vivere un po’ in una linea più ampia

Per perdere il controllo”

(She’s Lostt Control_Joy Division)

Nelle opere di Sergio Angeli da sempre c’è la ricerca di un “altrove altro”, andando indietro ed indietro ancora, nel suo esplicito figurativo le immagini rappresentate subiscono una trasformazione in cui ogni elemento anche quando riconoscibile, ci riporta a qualcosa d’altro.

In questa mostra Angeli esplicita questo estraniamento che pur racchiudendo le forme, conferma un volere rimanere straniero all’effettivo senso delle cose. Una emergenza continua ed un rimando a ciò che di più nascosto alberga nella nostra mente ed ancora di più nelle nostre viscere.

Seppure in certi casi vediamo i contorni, il perimetro superficiale dei corpi e delle forme che li circondano, la loro soglia, il bordo della linea ci rapisce sempre in luoghi altri, estranei, stranieri a ciò che di riconoscibile ci tranquillizza. La sedazione data da una comfort zone che troppo spesso si realizza nella pittura in Angeli genera un effetto boomerang, in un eccesso di quiete ci si ritrova spesso smarriti in panorami che solo nella superficie sembrano immobili.La ricerca di una forma archeologica industriale ci accompagna sul baratro in un abisso più profondo, la definizione dell’elemento esterno diviene la zavorra per non perdersi altrove, lontani da tutto, in un mondo isolato fatto di povere cose, scarnificate, depotenziate, scaricate dall’utilizzo e dall’usura del tempo, testimoni di una vita oramai già finita, passata, al di là del tangibile, riconoscibile e questo “estraniamento spaventoso” non trova pace, neppure quando una miriade di colori inonda la superficie. Una ricerca in effetti di ciò che non esiste, una smania di ritrovamenti e reperti che possano riempire proprio quei perimetri che non sono già tra noi da molto tempo, sindoni impresse che testimoniano ciò che eravamo, ciò che abbiamo perduto.

Se è vero che la necessità di cercare un senso è insita in ogni artista, in Angeli c’è la volontà di cercare assenze, cose che in fondo sappiamo non essere più qui fra noi dalla notte dei tempi. Ci resta una malinconica presa di coscienza di ciò che è e non sarà mai più.

“Questo povero corpo cerca un’anima anche se sa di non poterla trovare, il cercare dà il senso di una vita che forse solo per questo vale la pena di vivere”.

Gli elementi che costituiscono l’anima non sono umani e forse nella ricerca la delusione più grande è la consapevolezza che non c’è nulla da salvare. Una speranza di ricercare altro che in realtà è illusoria, è debole, non è gesto di forza e vitalità, ma limita la figura ad una rassegnata constatazione del nulla, per cui forse non vale la pena neppure di ricercare.

Le figure fluttuano in un liquido amniotico, dove ogni suono è assente, in un non luogo in cui il rumore del mondo non può entrare, ma neanche affacciarsi in un lago di quiete apparente.Se l’oggetto è oggetto di ricerca, in Angeli questo cercare diviene un modo di depistare, portare altrove l’attenzione per non essere scoperti ad avere compreso ciò che vogliamo possa essere finzione, una verità che vogliamo dimenticare che noi cerchiamo costantemente di spostare, allontanare come ultimo pensiero e che ogni giorno desideriamo rimuovere.

Un cimitero a cielo aperto abbandonato da noi, allontanato, già consumato, diviene ossatura, struttura, meccanismo che attiva il respiro, una morte che pretende di dare la vita, di essere l’essenza stessa ed il senso più profondo della nostra esistenza. Se è vero questo, non c’è una reale emergenza, perchè ogni cosa è come previsto è semmai per Angeli, una scoperta di ciò che è e non si può evitare. Nell’inevitabile si affaccia lo spiraglio di una rinascita che può forse accadere solo resettando ciò che ci ha preceduto, ovvero, solo dopo la fine possiamo sperare in un nuovo inizio.

I reperti ritrovati non sono che la conferma di tutto questo, l’oggi è già domani e nell’alternarsi delle ore, dei giorni e del tempo, non possiamo trovare un senso. Ciò che era è già alla fine e il corpo stesso, diviene forma impressa, che è immediatamente memoria. Un presente inesistente che cerca pace e che solo nel gesto artistico la può trovare, in questa smania Sergio Angeli stende sulla tela e rimanda speranza, ma trema perchè conosce il destino . Una archeologia mai superata, che si consuma e che è destinata a non essere mai ora, qui, subito!

Se la tela diviene la sindone e l’oggetto imprime le sue forme sulla carne stessa, buca la tela oltre e va dritto all’anima, la dilania, la consuma, la rende già storia prima ancora che ci lasci, ci abbandona a noi stessi, non c’è allora nessuna consolazione? Se l’opera è una sindone il colore diviene il fenomeno che ha impresso la figura umana, che nellaconsecutio è avvenuto dopo che il sangue si era trasferito sul tessuto e ne aveva attraversato lo spessore.

Il sangue diviene testimonianza, la nostra sofferenza ci rende umani, ci da il senso e la percezione che siamo ancora vivi, post umani, redivivi, ma vivi.

In questo luogo di desolazione e nella linea sottile di questo arrendevole silenzio ci sentiamo confusi e perdiamo la traccia, ma forse lontani da questa vita e nell’assenza di suoni, in sospensione possiamo trovare una strada.

E’ quindi forse nella fine che possiamo trovare la speranza di un nuovo inizio?

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