Un commento al primo Libro della Genesi ricorda come “oggi viviamo nel settimo giorno, nel quale Dio si compiace di ciò che ha creato e desidera mettersi in relazione con le sue creature”. L’idea della contemplazione di ciò che ci circonda - di gustare e apprezzare ciò che troviamo e che ogni giorno abbiamo la fortuna di poter ammirare - porta con sé l’attitudine a riflettere; a interpellarsi sul rapporto che oggi sussiste fra creato e creatura. Osservando un paesaggio che ci emoziona, si attiva unicamente una serie di sentimenti - retaggio di una cultura che affonda ancora molto nel romanticismo ottocentesco? O ci sentiamo parte di una relazione che ci rende responsabili e custodi di ciò che stiamo contemplando e ci sprona ad averne cura, come di qualcosa che dovremo lasciare, se possibile, meglio di come l’abbiamo ricevuta? E’ per me, ma non è mio. Non ci posso fare quello che voglio. Così come un figlio non è solo per me ma è per il mondo, per l’umanità. Ecco, dunque, che i soggetti raffigurati nelle opere qua esposte - i luoghi che più frequento, la terra, il mare, il cielo che ben conosco, quella Toscana che negli anni ho imparato a sentire mia, tanto più provenendo dalle nebbie e dal grigiore della pianura padana - assumono per me un senso differente da quello di una pittura di paesaggio. Si tratta piuttosto di paesaggi universali, interiori, o interiorizzati, nei quali mi sento calato ed immerso tanto più quanto più sono grandi le loro dimensioni. Scriveva Mark Rothko nel 1951: “dipingere un quadro piccolo significa situarsi al di fuori della propria esperienza, significa osservarla attraverso una lente che la rimpicciolisce e l’allontana. Un quadro di grandi dimensioni, in qualunque modo lo si dipinga, permette al contrario di entrare a far parte di esso. E’ ineluttabile.” E’ allora come ammirare in una minuscola cellula la grandezza della vita intera. Germano Paolini