Fabio De Benedettis's Open Studio


La mia ricerca artistica è diretta al concettuale, nella volontà di veicolare un messaggio che provenga da proprie riflessioni incentrate sulle proprie esperienze e sulle proprie suggestioni. Il mio lavoro si sviluppa in serie, non mi soffermo a documentare la realtà ma a raffigurare la “mia” realtà, quello che vedo dentro di me e non fuori.

La propensione mi conduce verso la costruzione di un contesto originale dove muoversi e creare, dove inventare un percorso intimo verso la realizzazione di un lavoro che sia personale perché nato dal proprio bagaglio conoscitivo che prevede la propria particolare prospettiva. Il mio occhio si indirizza verso immagini che colgono un lato della vita che solo un approfondimento calato all’interno di se stessi può ottenere. È interessante che il carattere intuitivo sia unito al lavoro organizzato fin nei minimi dettagli. Nulla viene lasciato al caso ed allo stesso tempo tutto proviene da un’urgenza. Dai miei progetti si può capire come il lato concettuale venga prima dell’effetto visivo, come lo svilupparsi di un progetto dipenda dal pensiero retrostante che lo caratterizza.La mia ricerca mi porta ad indagare, ad andare oltre quello che solitamente vediamo.È un’indagine dettata dalla curiosità, che nasce dall’introspezione, è un lavoro introspettivo.Il mio invito è ad indagare sé stessi come io indago gli oggetti che ho di fronte. Ed ognuno può seguire la propria fantasia nel ricomporre le prospettive a suo piacimento inventando punti di vista e significati nuovi.Analizzo e smonto elementi per procurare un nuovo punto di osservazione ravvicinato sull’insieme, che l’osservatore può idealmente e visivamente ricomporre per avere un quadro della situazione più completo; si può scoprire l’Universale nel particolare.Per la costruzione delle immagini solitamente utilizzo un fondo neutro agevolando così la concentrazione.

La mia è una scelta dettata da una pulizia che possa dare rigore al lavoro ultimato, che lo renda integro e quasi tridimensionale andando verso l’astrazione.La mia è una traduzione visiva bidimensionale di un oggetto tridimensionale – una metodologia non lontana dalla rappresentazione architettonica – e la volontà che sostiene questa pratica ricalca un po’ quella dei bambini, che disarticolano il giocattolo per vedere come funziona davvero. La mia pratica è un avvicinamento il più possibile all’illusione del vero, un vero molto persistente.Infatti non amo gli orpelli, i dettagli aggiunti, anzi la mia fotografia è quasi sempre minimale, il mio è un lavoro a “togliere” anziché ad “aggiungere”.
Cerco di non limitarmi semplicemente a "guardare" il mondo ma a "ricostruirlo" o, almeno, a riprodurne delle particelle plausibili.