REMEMBER TO FORGET

Mostra Collettiva: Alessandro Cannistrà – Fabrizio Cicero – Alessandro Rosa


Mostra collettiva con le opere di:

Alessandro Cannistrà – Fabrizio Cicero – Alessandro Rosa

 

A cura di Giulia Tulino

 

23 ottobre – 3 novembre 2018

Inaugurazione 23 ottobre ore 18,30

 

Nei lavori presentati da Alessandro Cannistrà in questa mostra, l’analisi non solo estetica ma anche antropologica, sociologica e filosofica, che indaga principalmente il concetto di “paura” e di “fobia” nella società occidentale, viene presentata attraverso fotografie e videoproiezioni che diventano simbolo del vivere l’esperienza come momento di autenticità. Le foto, testimonianza di un viaggio dell’artista in sud America, raccontano l’itinerario compiuto in un mondo “privo di cultura”, dove il bioritmo vitale, che nella società capitalistica è scandito piuttosto dalla luce artificiale che da quella naturale, cambia completamente (Alessandro Cannistrà ha vissuto per diversi giorni senza energia elettrica e telefono), dove i lunghi cammini nella giungla comportano il concreto rischio di perdersi e infine, ma probabilmente fattore più importante, il confrontarsi con la solitudine, la quale, racconta l’artista, si placava soltanto di fronte “al buio totale delle notti in cui l’apparizione delle stelle e delle lucciole allo stesso tempo, lo facevano riflettere su un tempo diverso da quello percepito in un mondo pieno di sovrastrutture”. In un’intervista del 2016 Cannistrà ha detto: “Io preferisco perdermi, rimanere in mezzo al fango, avere paura dei lupi e stare isolato nel deserto a contemplare le cose, ma è chiaro che questa attitudine è solo mia. Si è soli nella dimensione in cui riceviamo quello che ci viene dato, non si sa da chi: si riceve, si prende, si utilizza, si consuma, non c’è meditazione nel consumo immediato. Ecco perché dico che si sta perdendo questa dimensione, diciamo, “romantica”. Il mio intento è quello di elaborare un pensiero che possa non tanto riportare alla luce questa parte romantica del “Sublime”, ma collaborare con ciò che so e conosco della scienza e della tecnologia, nella maniera più semplice possibile, per un pubblico ormai devastato dalla non riflessione, dal non vivere, dalla paura nei confronti del tempo, della malattia.” In una chiave più visionaria e fantastica, si presenta invece il lavoro di Fabrizio Cicero, in mostra con alcune foto e un’istallazione all’esterno della galleria: una stella cometa in forma di luminaria che arriva dall’alto “penetrando” nel terreno e si traduce in un’opera interattiva di cui il pubblico può sentirsi parte. Lori Adragna, in occasione della mostra dell’artista nella Sala Santa Rita di Roma, scrive che Cicero “ricostruisce attraverso la memoria, tra sogno e incubo, un vissuto dell'infanzia in Sicilia che è anche una riflessione antropologico-sociale (…) del background culturale di quel luogo.” Dice lo stesso Cicero: “Quest’opera nasce da una sorta di trauma che ho tradotto in un sogno ad occhi aperti. Le luminarie infatti fanno parte dei miei ricordi di bambino, in Sicilia, quando venivano allestite per le feste e poi, una volta che queste finivano, restavano comunque lì, come abbandonate, acquisendo una valenza negativa che per un bambino equivaleva al ritorno a scuola, alla vita di provincia e al freddo invernale. Le luminarie mi hanno sempre affascinato e desideravo progettare un lavoro in cui usarle: così ho deciso di farle impattare sul terreno(…). Spero che chi si avvicina all’arte riesca ad esprimere anche qualcosa di traumatico in maniera leggera e sempre efficace. Efficace… ”. Alessandro Rosa, dei tre è certamente il più lontano dalla rappresentazione di sentimenti tratti dalla sfera personale, più o meno intima, più o meno legata ad una memoria privata. La sua ricerca artistica, incentrata su un innata curiosità filosofica e psicologica, si configura come una sorta di strumento o metodo capace di mettere in discussione alcuni assunti, verbali e visivi, che normalmente ignoriamo o non consideriamo. “Remember to Forget”, è l’“ossimorico monito verbale” pensato come titolo del montaggio video che ci si presenta davanti: vero e proprio collage di materiali d’archivio video desunti da ambiti culturali differenti e immersi “nella storia” del XX secolo. L’insistito uso delle macchie di Rorschach, usate in psicologia e in psichiatria sotto forma di test allo scopo di misurare la capacità di rappresentazione di sé e degli altri nelle relazioni, diventano nel lavoro di Alessandro Rosa, indice di un’interpretazione comparativa tra segno e oggetto grazie alla specularità antropomorfa che le costituisce.