Where Forever Begins

Duo exhibition featuring new works by Corydon Cowansage and Matt Phillips

Where Forever Begins PH Eleonora Cerri Pecorella

Where Forever Begins PH Eleonora Cerri Pecorella


La galleria Andrea Festa Fine Art è lieta di presentare Where Forever Begins, duo show che presenta i nuovi lavori di Corydon Cowansage e Matt Phillips accompagnato da un testo di Benedetta Monti.

 

In Rothko l’utilizzo dei colori può essere associato a una serie finita di calcoli e formule che hanno alla base lo stesso codice alfanumerico. Parallelamente il corpus di opere presentato in Where Forever Begins si avvale della capacità di non rispondere a necessità di obblighi limitativi, facendo della ricombinazione di forma e colore una regola. Seguendo l’esempio del campione in carica della Color field, Matt Phillips (1979, Virginia) e Corydon Cowansage (1985, Philadelphia) rivelano i risultati che si possono ottenere dal rimescolamento continuo delle carte in gioco. Nei due artisti i mix cromatici che si susseguono tra una tela e l’altra svelano un ordine esecutivo, profili simili dove l’alternanza di pose e tonalità viene coordinata in modi diversi incessantemente. La mostra apre le porte a un incontro limpido con il preesistente, l’arcaico, il divenire, lasciando che a parlare siano i segni e segnali lasciati come indizi dagli artisti.

 

“Tutta l’arte è un ricordo all’origine, è nell’oscurità, i suoi frammenti vivono sempre nell’artista.”

Paul Klee

 

La pittura di Matt Phillips ci trasferisce direttamente nella poltrona di un cinema d’essai impolverato che proietta gli ultimi istanti de Il tè nel deserto di Bernardo Bertolucci. Qui la drammaticità sonora del cult cinematografico sposa il segno severo e nervoso dell’artista, il quale riproduce una grana visiva dall’aspetto arido, luminoso, e una struttura data dal colore dove corsie archeologiche si rincorrono e si riproducono. Così, con il sostegno di questo breve viaggio immaginario, è possibile ravvisare ancora meglio la fragilità astratta e sognante in Taut, 2022, o la meticolosità nella costruzione spaziale in Where Forever Begins, 2022. "Voglio che le mie opere prendano parte a uno spazio molto intimo: come una tenda che viene avanti e torna indietro nella stanza, di fianco ad una finestra aperta, oppure come una maglia che si muove quando qualcuno respira.” Spiega l’artista.

Se si zooma su una delle tele in mostra si nota una stratificazione prestabilita e un accenno di caos, la superficie simil ruvida e dalla cromia pallida rimanda a quella ingenua e graffiata di Jean Dubuffet in Il Mago dal Naso Sottile, 1951. L’artista americano però, al contrario del sostenitore dell’Art Brut, dipinge accostandosi all’opera in divenire allo stesso modo in cui si sfiora la foglia d’oro quando la si lavora - estrema delicatezza, timore. Il gesto istintivo non è contemplato.

Matt Phillips riesce a rendere l’idea di movimento attraverso passaggi che ricordano lo slancio cubo futurista. Non di rado le sue gracili increspature sembrano uscire dalla tela in modo composto, come un flusso vibrante, e dirigersi sul muro che sostiene l’opera, possono essere facilmente pensate come una composizione macro, scenografica, portale inedito verso un universo silenzioso. A proposito di movimento, le opere di Phillips hanno un traffico interno slegato dalle dinamiche rituali che vedono il limite segnato dal bordo del quadro coincidere con la fine del segno. L’artista infatti termina talvolta i lati del dipinto lasciando uno spazio di stacco, delineato attraverso una gamma cromatica diversa da quella visibile nella rappresentazione data, che sfiora uno o più dei quattro fianchi dell’opera. Un'abitudine questa che è parte integrante dei leitmotiv estetici che compongono la firma stilistica di Phillips.

 

Il sipario si chiude e riapre di fronte alle tele di Corydon Cowansage.

Immaginiamo di entrare in una stanza dove è presente Oval with points, 1968, di Henri Moore, insieme a Ragazza coi guanti, 1930, di Tamara de Lempicka e ad un’altra icona della storia dell’arte: La danza di Matisse, 1910. Ora, proviamo a inserire un’opera intermedia che resusciti un codice comune: partendo dalla solidità essenziale di Moore, ingigantendo le linee di disegno piatte de La danse e utilizzandole come separazione dallo sfondo e contorno delle forme, riempiendo ogni cellula del dipinto con i colori intensi della Lempicka e la ieraticità dei suoi panneggi. Risultato? Pennellate compatte, linee nette, colori saturi, superficie libidinosa. 

 

In Cowansage le figure sono gonfie ed emergono sullo sfondo come il ritratto di un organismo post apocalittico catturato durante una glaciazione. Questi profili hanno aspetto biomorfico, dalla surreale consistenza, potrebbero essere leggeri o pesanti ma attraversano ugualmente lo spazio senza gravità. Sagome tanto ambigue che si può ipotizzare di osservarle al microscopio, minuscole e invisibili; quanto si può fantasticare di trovarle adagiate all’interno di un habitat su un pianeta altro: enormi, colossali, di spropositata grandezza.


Le forme in Cowansage hanno spesso una torsione prospettica voluminosa che crea illusioni ottiche disturbanti dove il chiaroscuro, utilizzato con avida abbondanza, entra in gioco e diventa protagonista. Esempi di questa esperienza visiva sono opere come Red, Peach, Yellow, Purple, 2022, o come Green and Turquoise, 2022. Ibridi decontestualizzati che richiamano l’abbondanza della natura, delle foglie, delle ghiande, ma ricordano anche echi dell’iconografia legata alla fertilità e alla figura umana, (labbra? fianchi?) portando la rappresentazione a parlare attraverso un limbo atemporale. Così Corydon Cowansage racchiude il rapporto complicato tra uomo, natura e artificio ponendo la narrazione su un unico piano, avvicinando il proprio parametro operativo ad un linguaggio universale.

Curators

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